Se la sua uscita resta un mistero, l’entrata di Paolo Cipriani allo Ior era avvenuta in modo quasi naturale. Cipriani era un manager competente, con esperienze per la Banca di Roma a New York e Londra e soprattutto in Lussemburgo dove, per conto del Banco di Santo Spirito, aveva fatto da broker per l’Istituto Opere di Religione. Cesare Geronzi, patron della Banca di Roma (che allo Ior non era del tutto un "foresto"), certo, ci mise una buona parola. Ma a indicarlo al Consiglio di Sovrintendenza furono in molti. Tra gli altri, c’era stato anche il commendator Lelio Scaletti, una leggenda dello Ior. Scaletti era entrato nell’Istituto come impiegato nel 1947 e da allora ne aveva scalato tutti i ranghi fino a divenire direttore generale, andando in pensione alla soglia degli 80 anni (il suo segreto era venti minuti di cyclette al giorno, scherzava). Non era facile raccogliere una simile eredità e sostituire una personalità del genere, che aveva conquistato nei decenni la fiducia non solo dei suoi superiori ma di cardinali come Tardini, Samorè, Casaroli, Sodano e Ratzinger.
Cipriani aveva dalla sua la competenza e la serietà. Uomo molto devoto alla Chiesa, attivo nella sua parrocchia del Gianicolo, questo manager non ancora sessantenne ha sempre vissuto nel culto del lavoro e della famiglia. Unica distrazione il tifo calcistico (sulla scrivania spicca, in bella mostra, un fermacarte a forma di Aquila della Lazio). Un anno prima della sua assunzione all’interno del torrione era avvenuto un evento inaspettato, dirompente. Dopo una “vacatio” di 13 anni, nella primavera del 2006, il cardinale Sodano, allora segretario di Stato, aveva nominato Prelato il suo assistente particolare, monsignor Piero Pioppo. Il nuovo Prelato aveva rotto i delicati equilibri interni nel Consiglio di Sovrintendenza e persino nella Commissione Cardinalizia di Vigilanza, affrontando il nuovo ruolo con piglio e determinazione, per usare un eufemismo. Si formarono nuove alleanze e il barometro cominciò a segnare attriti e burrasche.
Ma Cipriani seppe tenersi alla larga dai contrasti che avvenivano all’interno del Consiglio di Sovrintendenza. Quando nel 2010 il Prelato prende a sorpresa la via del Camerun, a capo della cui nunziatura viene assegnato, continuerà a dirigere l’Istituto senza pagarne alcuno scotto.
I problemi di convivenza iniziano con l’avvento del nuovo presidente Luigi Gotti Tedeschi, che sostituisce Caloia nel 2009. Il 6 settembre 2010 la Procura di Roma sequestra, su indicazione della Banca d’Italia, alcune somme per non aver ottemperato alle leggi antiriciclaggio internazionali vigenti. Gotti Tedeschi, dopo il sequestro, si reca in Procura il 30 settembre 2010 per deporre spontaneamente davanti al pubblico ministero Fava e al procuratore aggiunto Rossi. Ai magistrati il banchiere spiega innanzitutto di fare quel mestiere “part time”, da lunedì pomeriggio a giovedì. Insomma, fa capire Gotti Tedeschi, non si tratta di un incarico a tempo pieno. Poi assicura che le procedure di trasparenza “sono le priorità”, aggiungendo di aver chiamato nel torrione i revisori dei conti della Deloitte e di aver stabilito “un rapporto continuo” con la Banca d’Italia (una decina di incontri, a otto dei quali lui ha partecipato personalmente). Infine, assicura di essersi recato insieme con Cipriani e monsignor Ventura, nunzio apostolico in Francia, nella sede parigina del Gafi per continuare il cammino di adeguamento alle leggi antiriclaggio. Spiega che le somme sequestrate il 6 settembre 2010 perché non otteremperavano ai protocolli antiriciclaggio sanciti dalla legge italiana facevano parte di un’operazione di tesoreria necessaria a trasferire 23 milioni di euro. Si trattava di due giroconti per 20 milioni di euro sul conto IOR, presso Jp Morgan e di 3 milioni di euro presso la Banca del Fucino.
I magistrati gli chiedono come mai erano state violate le norme standard. Ma per le tecnicalities (come vengono definite) rimanda a Cipriani. “Io non entro in sala operativa”, dice ai due magistrati Gotti Tedeschi, “non sono mai entrato in sala operativa”. Quando Fava gli chiede se esiste una mappatura dei clienti, il banchiere risponde di non saperne nulla, ancora una volta di chiedere a Cipriani. Tutto questo ovviamente non piace al direttore generale, che ha paura di fare da capro espiatorio mentre il Cavaliere Bianco Gotti Tedeschi annuncia alla stampa e ai magistrati di Roma la sua rivoluzione avviata nel senso della trasparenza con il suo avvento.
I rapporti tra direttore generale e presidente si deterioreranno via via per assumere connotati di una vera e propria guerra interna. La fiducia tra i due non è propriamente una merce che abbonda dentro quelle mura spesse nove metri. Pare che Cipriani potesse controllare i visitatori ricevuti nell'ufficio della presidenza, situato nel Palazzo Apostolico, sotto la prima Loggia, attraverso una telecamera di sicurezza. Quando ormai la guerra è aperta, i vertici dello Ior arriveranno persino a chiedere su Gotti Tedeschi una perizia psichiatrica sul banchiere, condotta all’insaputa del soggetto esaminato, profittando di una cena di lavoro in cui gli viene affiancato uno psicoterapeuta (vicino di casa di Cipriani) che redigerà regolare rapporto, presentandolo come personalità affetta da “disfunzione psicosociale” con tratti di “egocentrismo e narcisismo”.
Il giorno prima dell’allontanamento, Gotti Tedeschi aveva chiesto analogo provvedimento nei confronti del manager dello IOR. Gotti nel suo memorandum avrebbe detto che i suoi guai sono iniziati quando ha chiesto i nomi dei politici. Lì sono iniziate le incomprensioni. Ma Cipriani ribadisce a Gotti Tedeschi personalmente e a mezzo stampa (tramite un’intervista al Corriere della sera) che allo Ior non esistono conti cifrati e nemmeno conti di politici: “Le domande le fanno sempre in Italia, ma qui ci sono le risposte, e conti cifrati e conti di politici non ci sono. Non ci sono, né ci potrebbero essere perché tutte i conti, che chiamiamo posizioni sono correlate ad un’anagrafica dell’intestatario, molto più dettagliato di quello usato in Italia, per esempio ed il sistema elettronico non può funzionare se non è completo di tutto”.
La fine è nota. Il banchiere piacentino Gotti Tedeschi verrà estromesso con un brusco comunicato del Consiglio di Sovrintendenza. Quando arriva il nuovo presidente, il tedesco Ernst Von Freyberg, all’inizio i rapporti sono buoni. Il neopresidente, nominato pochi giorni prima dell’abdicazione di Benedetto XVI, dichiara di lavorare “felicemente” con Cipriani. Ma presto le nubi si addensano sulla terrazza del Torrione, dove i papi conducevano i loro ospiti per ammirare i fuochi d’artificio di Castel Sant’Angelo. Pare che l’avvento di una società di revisione contabile americana, la Promontory (i cui rappresentanti vanno a occupare posti chiave nella governance), chiamata dalla presidenza, non sia stata apprezzata dal management dell’Istituto (in cui già operano i revisori esterni della Deloitte, chiamati a certificare i bilanci). Anche le interviste del nuovo presidente suonano alquanto strane, perché accanto alle promesse di maggiore trasparenza vengono aggiunti dati controversi, come il numero dei conti (detti in gergo fondazioni). Sono 13 mila, dirà Von Freyberg, mentre in realtà sono oltre 40 mila. Inoltre, dichiara il presidente dello Ior, l’utile netto è di circa 80 milioni, il quadruplo rispetto a quello dei precedenti quattro anni. Come è possibile, in anni di vacche magre per tutta la finanza mondiale? Sarà uno dei quesiti che affronterannoil nuovo prelato e i membri della commissione referente nominati da papa Francesco e dotati dei massimi poteri, proprio per compiere la "due diligence" dei conti Ior. L’arresto del prelato dell’Apsa Nunzio Scarano, poi, ha fatto precipitare le cose. Il monsignore, indagato per corruzione e sospeso dall’Amministrazione del Patrimonio della Santa Sede, avrebbe disposto un po’ troppo disinvoltamente dei suoi conti allo Ior. Chi ha vigilato sulle sue operazioni? Come mai non sono scattati i controlli interni prima dell’intervento della magistratura italiana? Lo scandalo travolge ancora una volta il torrione, con le dimissioni di Cipriani e del suo vice Massimo Tulli. E così lo Ior rimane ancora una volta senza direttore generale (era già accaduto negli anni ’90, con le dimissioni di Andrea Gibellini). Ora, dopo l’uscita di scena di un altro protagonista, si aspetta lo prossima puntata. Che, viste le ultime mosse di papa Francesco, sarà certamente nel segno della trasparenza e nella direzione del ritorno alle origini dell’Istituto, che è quello di fondazione canonica che fa da intermediario finanziario della Chiesa universale.