Le Nazioni Unite si
dicono «costernate» per il
naufragio del peschereccio al largo delle coste greche e chiedono
un’inchiesta per fare immediata chiarezza.
Per ora, sono stati
recuperati 16 migranti e i cadaveri di una donna e di un bambino di
11 anni. A bordo, c’erano però 26 afghani e 2 siriani: mancano
quindi all’appello dieci profughi, tra cui bambini e ragazzi.
In base alle
informazioni ricevute dai sopravvissuti e dalla Guardia costiera
greca, l’imbarcazione è stata intercettata nel Mar Egeo del Sud
poco dopo la mezzanotte, apparentemente diretta dalla Turchia alla
Grecia, con un serio guasto meccanico.
Vicino all’isola di
Farmakonisi, la barca, con tutte le 28 persone ancora a bordo, si è
capovolta mentre veniva scortata proprio da un vessillo della Guardia
Costiera. A detta degli ufficiali greci, perché i migranti si erano
fatti prendere dal panico dopo che due di loro erano caduti in mare e
i compagni si erano spostati in massa su un lato del peschereccio,
provando a salvarli ma causando invece il naufragio.
Quello di lunedì è il
primo incidente di questo genere nel 2014, ma l’ultimo di una lunga
serie di tragedie mortali nel Mediterraneo. Tuttavia, questa volta
c’è un elemento che suscita la forte preoccupazione delle Nazioni
Unite: i sopravvissuti, che ora si trovano nell’isola di Leros,
hanno riferito all’Unchr (l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati)
che al momento del naufragio l’imbarcazione era scortata verso la
Turchia.
«Se questa
dinamica verrà confermata – spiega l’Asgi (Associazione per gli
Studi Giuridici sull’Immigrazione) – ci troveremmo di fronte a un
respingimento collettivo di rifugiati tassativamente vietato dal
diritto internazionale ed europeo, e in particolare dall’articolo
33 della Convenzione di Ginevra e dagli articoli 3 e 4 della
Convenzione Europea per i diritti dell’Uomo».
Proprio per questo, la
Corte Europea aveva condannato l’Italia il 23 febbraio 2010, per
gli illegittimi respingimenti decisi dall’allora ministro
dell’Interno Maroni. Continua l’Asgi: «Quella
sentenza ha sancito che l’applicazione dei diritti umani in mare
aperto, compreso il principio di non respingimento, richiede agli
Stati di esercitare la loro giurisdizione sulle imbarcazioni e sulle
persone intercettate, garantendo il diritto di accedere alla
procedura di asilo, la protezione contro il respingimento diretto o
indiretto, la protezione dalle espulsioni collettive e il diritto
delle persone intercettate di ricorrere contro la decisione di
rinviarle nel Paese di partenza».
Laurens Jolles,
delegato Unhcr per il Sud Europa, esorta le autorità «a
indagare su questo incidente e sul motivo per cui queste vite siano
state perse su un’imbarcazione che già era a rimorchio». Inoltre,
aggiunge che «i
sopravvissuti devono essere rapidamente trasferiti in altre località,
così da poter rispondere in maniera più adeguata alle loro
necessità».
Anche l’Asgi chiede alla Commissione Europea,
solitamente attenta con la Grecia in campo economico, «di
adottare con fermezza e maggiore tempestività rispetto al passato
tutte le misure necessarie a garantire che detti respingimenti
illegittimi cessino immediatamente».
Nel 2013, circa 40.000
persone sono arrivate irregolarmente in Italia, Malta e Grecia via
mare. Le traversate si verificano in genere tra marzo e ottobre, nei
mesi primaverili ed estivi, ma quest’anno stanno proseguendo anche
durante l’inverno, nonostante condizioni meteo estreme. Finora,
solo in Italia, sono arrivate via mare oltre 1.700 persone. Si tratta
di flussi misti di migranti e richiedenti asilo, anche se i conflitti
in Siria e nel Corno d’Africa hanno fatto aumentare il numero di
chi fugge da guerre e persecuzioni.
Proprio per questo, arriva dalle
Nazioni Unite una raccomandazione per gli Stati dell’Unione:
«Ridurre
il numero dei morti nel Mediterraneo anche attraverso la creazione di
canali di migrazione legale alternativi a questi pericolosi movimenti
irregolari».
Oggi non è così. Lo
spiega Younma,
una donna di 36 anni, scappata dalla guerra in Siria: «La mia casa è
stata bruciata e mio fratello di 12 anni è stato ucciso. Avevo paura
di fare la stessa fine, ma per venire in Europa non c’era altra
strada che pagare migliaia di dollari per un posto su un
peschereccio».
Arrivata sulle coste europee, non ha fatto in tempo a sbarcare che,
per le condizioni del viaggio, ha abortito perdendo il bambino di 6
mesi che aveva in grembo.