Gentile professoressa, per i differenti bisogni degli alunni propongo di creare in ciascuna scuola dell’obbligo due tipi di classi. Il primo tipo “senza” compiti a casa, note sul registro, castighi, sospensioni per giovanili manifestazioni di esuberanza, interrogazioni e verifiche che generano ansia, anacronistici divieti di usare la tecnologia in classe (smartphone), lagnanze dei docenti per vacanze estemporanee, voti e giudizi negativi o bocciature. Anzi, i giudizi li abolirei per scongiurare discriminazioni fra alunni e contestazioni talora violente dei genitori. Il secondo tipo “con”, cioè l’opposto di quanto sopra. Ai genitori la scelta. Non mi consideri incoerente se per i miei nipoti preferirei da subito il secondo tipo. Credo che nel giro di pochi anni diventerebbe la scelta di tutti.
NONNO MAURO
Caro nonno Mauro, il mondo composto da banchi e cattedre è complesso: niente contorni netti, ma un insieme di bianco e nero a tratti indistinti e sovrapposti. Partirei dal tuo primo punto, i compiti a casa. L’esercizio quotidiano è una sana abitudine, un lavoro, ma otto ore bastano. Un bambino delle elementari resta in classe fino alle quattro del pomeriggio, perché farlo lavorare anche a casa? Poi parli di note sul registro. La ribellione oggi nasce dalla richiesta di attenzioni, quelle vere, dalla voglia di avere un proprio posto nel mondo, non al lato di un comodo pupazzo regalato da mamma e papà per non sentire più capricci mentre crescono nell’anima solitudini abissali. Forse un dialogo a tu per tu, l’ascolto, un lavoro socialmente utile sortiscono effetti migliori. Su interrogazioni e verifiche restiamo concordi, anche perché il lavoro più difficile è far diventare lo studio impegno quotidiano. Ma l’obiettivo non è il dieci, è la cura per sé stessi e per la propria formazione, il desiderio di coltivare la propria umanità. I voti ci sono imposti, tanti di noi ne farebbero volentieri a meno. Quando consegno verifiche corrette con i numeri incorporati i ragazzi guardano soltanto la cifra, non gli errori. Il voto si traduce in competizione sfrenata, oggi ne esiste fin troppa: la scuola è collaborazione e crescita comune. E infine la tecnologia: è ormai un’abitudine viscerale, una triste forma di evasione dalla realtà per ragazzi virtuali con enormi paure. Usare la lavagna multimediale in classe può dare buoni frutti, ma la sfida è aiutare i ragazzi a vedere gli altri, a dialogare guardandosi negli occhi. La scuola di cinquant’anni fa era diversa, caro Mauro, lo era anche il mondo fuori. La cattedra è un osservatorio privilegiato sulla realtà. Sulle famiglie, le loro ansie, la richiesta di severità altrui per nascondere la propria debolezza. Questa, forse, la difficoltà più grande: convincere mamme e papà che nessuno giudica loro, che si sta tutti dalla stessa parte.