Nella casa dove Sergio Endrigo ha vissuto gli ultimi anni della sua vita, sulle colline di Monte Mario a Roma, tutto parla di lui. Ci sono la sua chitarra, la foto del suo pappagallo verde con l’occhio giallo, Paco, che ispirò la canzone di Vinicio De Moraes, la polena della barca con cui navigava nei mari di Pantelleria, i poster dei suoi dischi, le foto di famiglia. A custodire la sua memoria la sua unica figlia, Claudia, che ha scritto un libro sulla sua vita, Sergio Endrigo, mio padre. Artista per caso (Feltrinelli).
«Ho scritto questo libro perché volevo che restasse una traccia di papà», spiega Claudia Endrigo. «E mi auguro che riesca a scuotere le coscienze delle case discograche. Mi piacerebbe che i suoi dischi fossero ripubblicati, ma io non posso fare niente perché hanno loro tutti i diritti».
Sergio Endrigo era molto amareggiato di essere stato dimenticato. Continuava a comporre album molto belli, ma non venivano promossi, non lo invitavano più alle trasmissioni televisive e lo ricordavano soprattutto per le canzoni per bambini. «È stato sicuramente un capitolo molto importante della sua carriera, ma aveva ancora molto da dare», ricorda Claudia. «Ma se in Italia non si occupavano più di lui, all’estero era molto amato. Faceva ancora concerti a Cuba e in Brasile, una terra da lui molto amata. Aveva il mal di Brasile, aveva un rapporto speciale con questo popolo che vive in modo intenso la saudade, la malinconia».
E malinconico appariva anche Endrigo. Forse un retaggio della sua infanzia difficile. Era nato a Pola, in Istria, nel 1933, aveva perso suo padre all’età di sei anni e come tanti istriani era stato un esule con la madre e il fratello. In ricordo di quel periodo scrisse la canzone 1947, dove cantava “Come vorrei essere un albero che sa dove nasce e dove morirà”.
«Certo, non aveva una faccia che ride, ma in realtà era un uomo allegro, curioso, gli piaceva viaggiare, conoscere altre culture», racconta Claudia. «Era un uomo introverso e timido, ma una volta che entrava in confidenza era molto amabile, era anche bravo a raccontare le barzellette. Aveva tante passioni: per esempio quella per il bricolage e nella sua falegnameria mi ha costruito una casa per le bambole. Era un fanatico del modellismo, tutto il sottotetto della nostra casa di campagna era pieno di trenini. Era rimasto un bambino, giocava, coltivava quelle passioni che da piccolo non aveva potuto avere. E poi collezionava francobolli ed era un patito della fotografia».
Sergio Endrigo non ha mai studiato musica, era un autodidatta. Cominciò a cantare quasi per caso, ma aveva una voce melodiosa e componeva anche le musiche delle sue canzoni. Cantava l’amore innanzitutto, ma fu autore anche di brani di impegno civile, come I principi in vacanza, Il treno che viene dal Sud, Il soldato di Napoleone. «Si è sempre dichiarato di sinistra ma fondamentalmente era un anarchico, era contro ogni regime totalitario ed era un pacifista convinto».
Alcune delle sue canzoni sono dei capolavori. Come Aria di neve, Te lo leggo negli occhi. Ennio Morricone ha indicato come canzone perfetta Io che amo solo te. Nel 1968 vinse il Festival di Sanremo con Canzone per te.
«Quando ero piccola non mi piacevano le canzoni da bambini che circolavano, e lui si rese conto che non si parlava ai bambini nel modo giusto. Ebbe una corrispondenza epistolare con Gianni Rodari e nacque l’album Ci vuole un fiore, dove cantavo anche io. Tra le altre canzoni per bambini L’arca, La casa: hanno avuto un successo incredibile».
Lui, nato in una città sull’Adriatico, aveva un rapporto speciale con il mare. «Nel 1962 era andato una prima volta a Pantelleria per una battuta di pesca», rievoca Claudia. «Era un’isola selvaggia, dove decise di comprare un dammuso (casa tipica locale, ndr) sul mare: sono stati anni meravigliosi.
«Avevamo un legame molto forte, io e mio padre, non era espansivo ma da piccola mi coccolava tanto. Certo, avevamo anche dei contrasti. Mi facevano incavolare la sua rassegnazione e il suo problema con il bere. Era un uomo profondamente buono e generoso, mite, ma anche pieno di contraddizioni, non era un alcolizzato, ma la sera beveva molto per scacciare i brutti pensieri. Dopo che venne colpito da un’ischemia, in accordo con il medico lo curavamo a sua insaputa con gli antidepressivi e smise naturalmente di bere. Era stato anche un gran fumatore, ma aveva smesso. Purtroppo troppo tardi, perché si ammalò di tumore al polmone».
Anche se fu abbandonato dalle case discografiche i suoi colleghi cantanti non lo avevano dimenticato. Molti di loro hanno interpretato le sue canzoni: Morandi, la Mannoia, Battiato. Claudio Baglioni ha scritto la prefazione al libro. «A me piacerebbe che continuassimo a vivere la poetica di Sergio Endrigo», vi si legge, «perché è nata moderna e ora si è fatta “classica”… Papà di canzoni bellissime, di Claudia, e anche un po’ di tutti noi, quando restammo senza quella voce da violoncello e quel mezzo sorriso da attore, consumato e principiante, che interpretava ogni giorno il film della sua propria vita, provando a inventare, scrivere e recitare le nostre».