(Foto Reuters)
Gelo all'Università del Nevada, a Las Vegas, fra i due candidati alla Casa Bianca impegnati nello scontro finale, il terzo e ultimo dibattito televisivo prima delle elezioni. Questa volta nessuna stretta di mano, né all'inizio né alla fine del dibattito, fra Hillary Clinton e Donald Trump.
Il dibattito, moderato da Chris Wallace di Fox News, tocca tutti i temi che stanno a cuore agli americani. Si comincia con il confronto sulla Corte suprema, si prosegue con la discussione sul problema delle armi, poi l'aborto. Si passa all'immigrazione e all'apertura delle frontiere, il tema che maggiormente divide e oppone i due candidati, come sottolinea il moderatore Wallace: Trump «vuole costruire muri», Hillary «non ha presentato un piano specifico su come mettere in sicurezza la frontiera degli Usa con il Messico». E infatti, proprio sull'immigrazione il livello dello scontro si alza. Wallace in più occasioni richiama il pubblico invitandolo a non ridere e a rispettare le regole ferree di neutralità che governano i dibattiti dei candidati presidenziali Usa. «Noi vogliamo frontiere sicure», assicura Hillary. «Noi fermeremo il terrorismo dell'islam radicale in questo Paese», ribatte Trump.
Il tema delle frontiere nazionali si intreccia con quello delle relazioni fra Stati Uniti e Russia. Hillary chiama in causa lo stretto rapporto fra Trump e Vladimir Putin: la Russia, dice la candidata democratica, è coinvolta in cyber-attacchi contro gli Usa e Trump incoraggia lo spionaggio contro i cittadini americani. «Penso che ci troviamo in una situazione senza precedenti: non è mai accaduto che un Governo straniero cercasse di interferire nelle nostre elezioni». Il candidato repubblicano ribatte di non conoscere Putin, di non averlo mai incontrato. E lancia una frecciata contro Hillary: «A lei non piace Putin perché in Siria e dovunque è stato più intelligente di lei e di Obama».
Man mano che il dibattito va avanti e la tensione sale, aumentano le interruzioni di Trump agli interventi della Clinton. Lui appare più nervoso e inquieto, lei più controllata, tranquilla, sicura di sé. Si discute di armi nucleari. Si continua ampiamente su economia, tasse, occupazione. Trump definisce un «disastro» il piano economico della Clinton, parla di riduzione delle tasse e dice: «Faremo ripartire il motore del Paese». Hillary critica il piano di tagli massicci delle tasse proposto dall'avversario e ricorda che «quando Obama è diventato presidente ha eredità il peggior disastro economico dai tempi della Grande depressione». Il modo per ripartire: «Investimenti in nuovi posti di lavoro, nell'istruzione, nella formazione professionale, creare le opportunità per le persone di farsi strada»
Quando il confronto arriva all'idoneità ad assumere la presidenza e alle accuse contro Trump di denigrare le donne e di averne molestate nove, il magnate strappa una risata al pubblico affermando con decisione: «Nessuno ha più rispetto di me per le donne». Ma è alla domanda se i candidati accetteranno il risultato delle elezioni che il candidato repubblicano fa un tremendo scivolone: «Lo deciderò al momento», è la sua risposta, mettendo sorprendentemente in dubbio la correttezza del sistema elettorale statunitense. Si discute di politica estera, di Siria, di Iraq, della campagna dell'esercito iracheno con il sostegno delle forze militari curde contro l'Isis. Si passa al debito pubblico, alla sanità, alla previdenza sociale. A chiusura del dibattito, un minuto a testa per rivolgersi direttamente ai cittadini: l'ultima chance per convincerli a votare per loro.
Anche in quest'ultimo confronto non mancano i colpi bassi, le battute contro l'avversario. Trump non nasconde momenti di insofferenza: durante le ultime battute definisce la Clinton «una donna così cattiva». Lei mostra di saper dominare la situazione con fermezza. Alla fine, nessun cenno di saluto, nessun incrocio di sguardi fra i due avversari, che lasciano il palcoscenico ignorandosi. Secondo i primi sondaggi, Hillary ha strappato maggiori consensi. E' lei la vincitrice dell'ultimo scontro. Ora, l'appuntamento decisivo per l'8 novembre, quando alle urne gli americani decideranno chi succederà a Barack Obama e prenderà in mano la sorte degli Stati Uniti.