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martedì 10 settembre 2024
 
 

Clochard addio, i senza casa ora siamo noi

24/12/2014  C'era una volta il vecchio "barbone". Il rapporto del ministero del Lavoro - Caritas ci dice che quella dei senza casa è ormai una condizione in cui scivola il ceto medio.

«Finire in strada è un attimo: un investimento andato male, un lavoro perso, una separazione, l’anziano cui si stava badando che muore, una malattia, una dipendenza... È questa la cosa che colpisce di più quando ci si avvicina a queste persone: si capisce che potremmo essere noi al loro posto. Che basta un niente per precipitare. E che serve tanto invece per risalire. Perché chi comincia a vivere per strada, difficilmente ne esce. La strada ti inghiotte».
Davanti al servizio mensa di via Flaminia Jessica e Carmen partecipano alla Seconda ricerca nazionale sui senza dimora. Non sono solo numeri e statistiche le persone in coda per il pasto quotidiano. Anche se i numeri servono per capire spostamenti e stili di vita, per adeguare i servizi alle necessità di chi vive senza casa.
Promossa dal Dipartimento sull’inclusione sociale del ministero del Lavoro – in collaborazione con la Caritas italiana, la Federazione italiana organismi per le persone senza dimora (Fio.psd) e l’Istat– la ricerca, che ha battuto a tappeto 750 servizi sparsi in 158 Comuni italiani (per un totale di 5.400 interviste), si propone di offrire una fotografia delle persone che oggi si trovano in situazione di estremo disagio. Continuiamo a dare un volto ai numeri.
In coda sul marciapiedi di via Flaminia, un signore “insospettabile” legge il giornale stringendosi nel cappotto blu. Un’altra signora parla del più e del meno con la sua compagna di fila. Ma non hanno molta voglia di raccontare la loro storia.

Le donne si organizzano meglio

Cristina, romena di 53 anni, si presta volentieri all’intervista. Due figlie adolescenti lasciate in patria. Alle quali non raccontare la propria situazione difficile del momento. Una mano dalle amiche per qualche notte al coperto, un impegno del Comune per un posto letto in un residence.
Le donne riescono a organizzarsi meglio, fanno più gruppo e si passano più velocemente la voce per ritrovare lavoro. Molte di loro, occupate come badanti, sono finite in strada dopo qualche anno di vita “normale” nelle case di quanti hanno assistito fino alla morte. Qualcuna ritrova un lavoro, qualcun’altra invece passa di dormitorio in dormitorio. Ma cedono meno degli uomini all’alcol e alla disperazione.
«La maggioranza dei senza dimora», spiega il coordinatore dell’indagine Michele Ferraris, «hanno accesso ai servizi: le mense, le docce, i dormitori. Per quel quasi 10 per cento che non riusciamo a intercettare abbiamo pensato, in questa indagine, di affidare un focus specifico alle unità di strada che operano a Torino. Quello che comunque sta già emergendo, come era accaduto anche nella scorsa indagine, è che, più che altre forme di assistenza, è prioritario trovare una sistemazione abitativa. Solo così si recupera il sonno, la propria dignità, la speranza di poter ricostruire la propria vita».

Un circolo vizioso

  

Lo sa anche Paolo, restauratore d’arte finito in strada dopo una frode di cui è stato vittima. «Quando si dorme per strada o in alloggi di fortuna è difficile presentarsi in modo dignitoso a un committente, avere la testa per applicarsi al lavoro. Si entra in un circolo vizioso che ti fa precipitare sempre più in basso». Tra gli italiani, sempre più di frequente c’è chi si allontana da casa «per non pesare con la mia malattia sul resto della famiglia». Dopo l’intervento Luigi è stato poco a casa. E oggi, con la sacchetta per la raccolta delle urine nascosta in una busta, vive per strada «per non dare fastidio a mia moglie e ai miei figli».

Il giorno più brutto è la domenica, quando a Roma sono aperte solo le mense della Caritas e pochissime altre. E i mesi più difficili quelli invernali. Il gelo li raggiunge anche nei sotterranei della metropolitana che il Comune lascia aperti proprio per l’emergenza freddo. Quest’anno, a scaldarli nel corpo e nell’anima, ci saranno anche i sacchi a pelo che papa Francesco ha fatto distribuire nel giorno del suo compleanno. Un gesto che li fa sentire considerati. «Perché è anche questo che molti di loro cercano», dicono i volontari che si occupano delle interviste: «Vogliono che gli altri sappiano che ci sono, vogliono non essere più invisibili».

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