Il dottor Alberto Dionigi
Il 1° giugno scorso la Federazione Nazionale Clown Dottori (FNC) – che riunisce 15 associazioni che operano sul territorio nazionale in strutture sociosanitarie - ha pubblicato una nota ufficiale in merito alla proposta di legge per i clown di corsia presentata nella regione Puglia, il cui arrivo in aula è previsto per il prossimo 14 giugno. L’occasione è utile per approfondire un aspetto fondamentale – e spesso dibattuto – della clownterapia, che è la formazione.
«La figura del clown di corsia, che ha fatto il suo ingresso in Italia nel 1995» ci spiega il dottor Alberto Dionigi, presidente di FNC «è in attesa di regolamentazione legislativa da diverso tempo. L’obiettivo che ci proponiamo, presentando delle proposte di legge, è quello di giungere ad una formazione organica per tutti i clown di corsia che operano nel nostro Paese». Gli standard di formazione, infatti, al momento sono lasciati all’autoregolamentazione delle singole associazioni che scelgono di operare nell’ambito ospedaliero attraverso la clownterapia e le disparità sono piuttosto marcate: vi sono infatti associazioni che propongono corsi di formazione di 60 ore ed altre che richiedono un impegno di minimo 250 ore. «Dal nostro punto di vista» continua Dionigi «una adeguata formazione dei clown di corsia è di fondamentale importanza per tutelare i destinatari degli interventi, e cioè i pazienti, i familiari, gli operatori sanitari, le istituzioni, ma anche il clown stesso. Un intervento non adeguato può lasciare un segno negativo sia nel paziente, che ricordiamo vive già un contesto di dolore e sofferenza, sia nel clown, che se non ben preparato può “bruciarsi”».
Il nodo della formazione nasce nel contesto italiano nel quale il clown-dottore – così come altre figure – viene collocato in un una dimensione di puro volontariato, ma la parola volontariato non significa necessariamente scarsa formazione: «Il clown dottore deve operare con professionalità» incalza ancora Dionigi «e ciò si ottiene con la coscienziosità personale e con una formazione certificata, che non serve a fare soldi, ma, come ho già detto, a tutelare i destinatari dell’intervento. Il nostro desiderio è quello di poter garantire a tutti i clown di corsia del nostro Paese di ricevere una formazione di pari livello, che offra anche una qualifica professionale: questa potrà essere spesa sia nel volontariato puro, sia in un ambito che preveda una retribuzione».
Ma come si può garantire gli stessi standard di formazione a tutti? «Accedere ai fondi europei appositamente stanziati, cosa che gli enti di formazione possono fare, significa poter offrire dei corsi di formazione gratuiti ma certificati», prosegue Dionigi «e gli standard minimi di formazione che noi proponiamo sono frutto di studi scientifici, che abbiamo portato avanti insieme all’Università di Zurigo e sono stati pubblicati su riviste internazionali. Come Federazione collaboriamo con tutte le realtà riconosciute in Italia e desideriamo che vi sia una opportunità di accesso per tutti alla giusta formazione».
E la questione della formazione ha anche un altro risvolto molto importante, che ha a che fare con i cosiddetti “clown tarocchi”: «Una regolamentazione farà sì che sia la legge a definire chi può dirsi o non può dirsi clown-dottore e in questo modo sarà possibile anche arginare quel fenomeno della “migrazione” delle associazioni clown che si spostano sul territorio nazionale per raccogliere fondi, al di fuori della propria area di operatività». Quando si tratta di soldi raccolti per attività generiche di clownterapia, e non per progetti specifici, entra in gioco anche un obbligo, perlomeno morale, di trasparenza della loro gestione.
«Desideriamo che le persone siano informate», conclude Dionigi «perché – come si legge in calce alla nota – ogni bimbo merita di essere curato dal miglior medico ed essere intrattenuto dal clown più competente».