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giovedì 24 aprile 2025
 
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Clownterapia: clown-medici o medici-clown? Una professione tra circo e medicina

14/06/2017  Spesso si tende ad identificare i clown-dottori con la figura di “Patch” Adams: ma il personaggio, reso famoso dall'omonimo film interpretato da Robin Williams, è soprattutto un medico-clown. C'è di più, quando avviene il percorso inverso ed è il clown che entra nell'èquipe di cura...

Il naso rosso come la punta di un iceberg? Tratto inconfondibile comune a tutti i clown, posticcio o dipinto, “la maschera più piccola del mondo” - secondo la definizione di Jacques Lecoq - non ammette troppe semplificazioni ed invita a guardare al di là del semplice trucco di scena: dove si scopre un mondo variegato e complesso, ancora più ricco e prezioso se si parla di clownterapia negli ospedali.

Spesso si tende ad identificare i clown-dottori con la figura di “Patch” Adams - medico di formazione e fondatore del “Gesundheit Institut” - ma Adams, reso famoso dall'omonimo film interpretato da Robin Williams, è soprattutto un medico-clown. In diverse interviste ha dichiarato di non accettare il termine “clownterapia”, essendo il suo pensiero rivolto al prendersi cura del paziente attraverso «l'amore e la gioia»: si tratta, secondo lui, di curare le persone e non le malattie. In questo senso, secondo la sua visione delle cose, sembrerebbe non necessario essere dei clown professionisti.

Di diverso avviso – sebbene vi siano alcuni punti di contatto con Adams - è Michael Christensen, clown professionista del Big Apple Circus e clown-dottore per vocazione, fondatore della clownterapia e, insieme a Paul Binder, della “The Clown Care Unit” di New York: «Il punto di partenza è avere un cuore aperto, il desiderio di servire, un ego sano e una maturità emotiva» si legge nella sua prefazione al volume “La clownterapia – teoria e pratiche” (Ed. Carocci Faber). «A ciò si aggiungono le competenze specifiche che trasformano un individuo di buone intenzioni in un membro fidato dello staff medico». Ecco il punto: il clown, pur non essendo un medico, diventa parte integrante dell'équipe di cura, mettendo in campo la sua capacità di «leggere istantaneamente il clima emotivo nelle camere, nei corridoi, negli ascensori e negli ambulatori».

I clown-dottori non sono protagonisti di uno spettacolo e, pertanto, con grande senso di responsabilità «devono essere disposti a mettere da parte il loro ego, pronti ad interrompere la loro performance in ogni momento, se ciò è opportuno». Non bisogna dimenticare, infine, la necessità di saper gestire la propria emotività. Tutto questo si traduce in una formazione rigorosa sia sulla clownerie del circo classico, sia sulle norme igieniche e i protocolli medici, sia sulla consapevolezza ambientale.

Ancora diverso l'approccio della Scuola russa di circo, caratterizzata da prestazioni di altissimo livello tecnico, molto legate alle gag, che utilizzano le tecniche legate alle cadute e alle finte sberle (slapstick). Interessante anche la scuola di Jasques Lecoq: secondo il suo approccio è necessario andare alla ricerca «del proprio clown», interpretando la parte più ingenua ed autoironica dell'artista. Ed ancora il metodo Stanislavskij – nato per gli attori - che lavora sulle espressioni emotive del clown-dottore attraverso tecniche corporee ed interpretative.

Un mosaico in continua evoluzione quello della clownterapia, presente con le sue numerose sfaccettature nel lavoro di tante associazioni operanti negli ospedali del nostro Paese. E tutto ciò dà valore a quel potentissimo strumento di benessere che è il sorriso di chi soffre, conquistato grazie all'arte del clown e a tutto ciò che sta dietro ad un, apparentemente semplice, naso rosso.

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