Nella hall di un albergo, Riccardo Cocciante parla per quasi un’ora e mezza degli oltre quarant’anni di carriera racchiusi nei quattro Cd che compongono il cofanetto Sulle labbra e nel pensiero, uscito dopo la sua partecipazione al talent show The voice of Italy vinto da una "sua" cantante, l’albanese Elhaida Dani. Seduta poco distante, l’inseparabile moglie/manager francese Cathy Boutet ascolta con discrezione. Poi, quando ci alziamo dal tavolino, si avvicina al marito e gli sussurra qualche frase in francese. «Mi ha detto che forse ai lettori di Famiglia Cristiana può interessare sapere cosa penso di papa Francesco. Io sono credente, ma mi sono allontanato dalla Chiesa perché la percepivo sempre più come una struttura di potere. Questo Papa invece mi ha conquistato: con i suoi gesti, con la sua semplicità, credo che potrà riavvicinare alla pratica religiosa tanti come me».
Torniamo alla musica. Nel cofanetto c’è una canzone poco nota, Indocina, che per Cocciante è importantissima, perché parla delle sue radici. «Ho raccontato a Enrico Ruggeri, che poi ha scritto il testo, la mia infanzia trascorsa a Saigon, in Vietnam, dove sono nato da padre italiano e madre francese. È stato un periodo molto bello, tanto che quando a 11 anni ci siamo trasferiti a Roma, ho sofferto un po’. Lì ero abituato a un tripudio di colori, di odori, la gente è generosissima e così, anche se sembra incredibile, trovavo l’Italia e gli italiani troppo chiusi, grigi». Il giovane Riccardo cresce nella Roma degli anni ’60, muove i primi passi nel mondo della musica, per tirare su qualche soldo lavora in un albergo e ha già una montagna di riccioli in testa. «Un giorno mi chiesero di tagliarmeli e questo mi fornì il pretesto per prendere la decisione di provarci seriamente con la musica». Dopo qualche tentativo poco fortunato ma molto interessante, come si può ascoltare nei Cd, Cocciante si afferma con canzoni che raccontano di amori disperati come Bella senz’anima, Era già tutto previsto, Quando finisce un amore, in cui impone la sua vocalità rabbiosa. «In quelle canzoni c’era tutto il mio stato d’animo di quegli anni: la timidezza mi paralizzava nei rapporti con gli altri. Con la musica allora urlavo il bisogno di farmi ascoltare».
L’urlo di Bella senz’anima, che da noi scatenò l’ira delle femministe, in Spagna e nei paesi Sudamericani afflitti dalle dittature assunse un significato completamente diverso: «Diventò un canto rivoluzionario, specie in Cile, dove ancora oggi è molto popolare», rivela il cantautore che mai avrebbe immaginato che grazie alla sua voce una sua canzone potesse essere accostata ai brani degli Inti Illimani. L’altra canzone simbolo della sua carriera, Margherita, ha rischiato di non essere mai pubblicata. «Feci ascoltare i brani del mio nuovo 33 giri all’arrangiatore, il futuro premio Oscar Vangelis. L’ultimo era Margherita. Lui mi chiese se ero davvero convinto d’inciderla: non gli piaceva e neppure io ne ero molto convinto. Era il periodo di massima politicizzazione della musica e pensavo che una canzone così melodica non potesse avere successo. Così mi presentai dal direttore della Rca, Ennio Melis e gli spiegai le nostre perplessità. Lui appena la ascoltò disse che non solo sarebbe diventata il mio nuovo singolo, ma che il 33 giri si sarebbe intitolato Concerto per Margherita. Fu un grande successo che mi insegnò una lezione fondamentale: l’artista non è mai il miglior giudice delle proprie opere. Ha sempre bisogno di qualcuno che gli indichi la strada. Questo ruolo da molto tempo lo esercita mia moglie: è una giudice severissima, ma indispensabile».
Sempre Ennio Melis qualche anno dopo ebbe un’altra grande intuizione:
organizzare un tour mettendo insieme artisti che più diversi non si può:
Riccardo Cocciante, Rino Gaetano e il gruppo progressive New Perigeo.
«Conservo bellissimi ricordi di Rino. Sul palco ci scambiavamo le
canzoni: lui interpretava A mano a mano e io
la sua Aida che ora potete ascoltare nel
cofanetto». Altre chicche sono le interpretazioni pianoforte e voce dei
brani più significativi di Notre Dame de Paris e di Giulietta e Romeo, le due opere popolari con cui ha riempito i teatri di mezzo
mondo.
«Nel mio cassetto ora ho tante cose: potrei incidere un’altra
opera, o un nuovo disco di canzoni. Potrei tornare anche a fare qualche
concerto, ma solo se ne sentirò la necessità. Non mi va di sentirmi
ingabbiato: per questo, anche se ho vinto, non
tornerò mai più a Sanremo come concorrente e difficilmente rifarò The voice of Italy. È stata una bella
esperienza, anche se all’inizio mi sentivo un pesce fuor d’acqua: al
pubblico a casa e un po’ anche ai cantanti che si presentavano apparivo
un po’ altezzoso. Con il tempo credo di aver dimostrato che non è così, è
solo la timidezza che mi trascino dietro, e spero di essere riuscito a
lanciare un messaggio per me importante: la musica è cultura, non si
improvvisa, richiede un impegno totale».
Per
tanto tempo il suo principale schermo contro la timidezza è stato il
pianoforte: «Non mi alzavo mai durante i concerti. È stata una conquista
recente. Ma il rapporto strettissimo con il pianoforte è rimasto. Ogni
giorno è come se gli parlassi, gli confido tutte le mie sensazioni. Non
posso farne a meno». Anche a The voice of Italy si è esibito al pianoforte in duetto con
Gianna Nannini, prima con Bella senz’anima e
poi con Sei nell’anima della cantautrice senese.
Il duetto è cliccatissimo su Internet: «Gianna mi ha detto che Bella senz’anima era un suo cavallo di
battaglia quando da ragazza cercava di farsi strada. Mi sono trovato
molto a mio agio con una rocker come lei perché è la musica con cui sono
cresciuto, da Jimi Hendrix ai Led Zeppelin. E anche ora mi diverto un
mondo ad ascoltare gruppi come i Metallica. Il mio sogno sarebbe
indossare una maschera e ricominciare da zero, cantando in una band
così. Perché in fondo, ho un’anima rock».
Qui sotto, il duetto fra Riccardo Cocciante ed Elhaida Dani sulle note di Margherita a The voice of Italy