Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
sabato 15 marzo 2025
 
dossier
 

Manuela Iaione: «Donne, rivolgetevi sempre a noi, forze di polizia, anche solo per parlare»

24/11/2020  La dirigente del Servizio Analisi criminale commenta i dati relativi al primo anno di attuazione della legge cosiddetta "Codice rosso". «Nei nostri uffici esistono stanze per l'ascolto protetto delle vittime di violenza», spiega. «Ma è importante anche lavorare sugli uomini, educandoli fin da bambini al rispetto della parità di genere».

(Nella foto: la dottoressa Manuela Iaione, del Servizio Analisi criminale)

Si chiama comunemente “Codice rosso”: una definizione che richiama l’urgenza e la gravità del fenomeno della violenza contro le donne. Si tratta, in termini giuridici, della Legge n. 69 del 9 agosto 2019 “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”. I dati ci raccontano, purtroppo, una realtà in cui le offese, i maltrattamenti, gli abusi di genere sono ancora diffusi in modo allarmante nel nostro Paese, spesso radicati in pregiudizi e convinzioni sociali e culturali duri da estipare, anche nelle nuove generazioni. 

In occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne (25 novembre), il Servizio Analisi criminale - ufficio dalla composizione interforze che comprende Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia penitenziaria, nell'ambito della Direzione centrale della Polizia criminale - stila un bilancio del primo anno di "Codice rosso", esaminando i dati relativi ai reati presi in considerazione della legge. Ne parliamo con la dottoressa Manuela Iaione, 53 anni, direttrice della terza divisione del Servizio Analisi criminale. «La legge considera quattro tipologie di reati particolamente importanti per quanto riguarda il contrasto alla violenza di genere e quella domestica», spiega la Iaione, «ovvero costrizione e induzione al matrimonio, deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (revenge porn), violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa». 

Dottoressa Iaione, vediamo i dati dei singoli reati. La costrizione o induzione al matrimonio rimanda al fenomeno delle spose bambine, che riguarda in modo particolare le comunità migranti e che, quindi, spesso sfugge all’osservazione e al controllo della legge (non sono rari i casi di genitori che dall’Italia portano le loro figlie nei Paesi di origine per costringerle a matrimoni combinati). 

«Abbiamo riscontrato in un anno appena undici casi di reato. Si tratta di trasgressioni ancora poco denunciate in Italia. E’ un reato che contempla ancora molto sommerso e che si fonda in buona parte su retaggi culturali, sociali, economici. La maggior parte delle vittime sono donne e il 64% sono maggiorenni, il 36% sono minorenni. La legge ha fatto un grande passo avanti perché per la prima volta questo tipo di condotta viene definita e sanzionata a livello penale. Penso sia una svolta nel nostro ordinamento che, unita all’attività di educazione e sensibilizzazione sociale e culturale, fra un anno ci porterà a far emergere di più il sommerso e ad avere risultati diversi». 

Parliamo della deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso.

«Con questa fattispecie la legge ha abrogato l’articolo del codice penale sul reato di lesioni personali gravissime con deformazione o sfregio permanente al viso. In questo reato confluiscono anche le vittime maschili. La grande maggioranza degli episodi sono compiuti contro uomini, abbiamo riscontrato qualche caso di sfregio perpetrato da donne contro vittime maschili, ma perloiù si tratta di sfregi di uomini contro uomini, avvenuti nel corso di incidenti, litigi, risse». 

Il revenge porn è il reato che più degli altri è sotto i riflettori, perché è la fattispecie alla quale immediatamente si pensa quando si parla di Codice rosso. Cosa ci dicono i dati?

«A questa fattispecie abbiamo dedicato un’analisi scorporata per mesi. E abbiamo visto che, mentre gli altri dati analizzati durante il periodo del lockdown per la pandemia hanno registrato un calo importante, questo tipo di reato è l’unico che ha subìto un’impennata tra aprile e maggio, proprio perché viene compiuto attraverso Internet e gli strumenti informatici ed è stato quindi favorito in quel frangente e in quella situazione. A livello regionale, le prime due regioni interessate sono Lombardia e Sicilia. La stragrande maggioranza (82%) delle vittime sono di sesso femminile; l’89% sono di nazionalità italiana. Un’ulteriore considerazione: io stessa, da madre di una ragazza e di un ragazzo, rispettivamente di 26 e 24 anni, pensavo che questo reato prendesse di mira maggiormente le minorenni. In passato, quando ero alla Questura di Latina, ho svolto tante attività di educazione alla lgealità nelle scuole e purtroppo ho potuto constatare che tantissime ragazzine oggi si sentono inadeguate e hanno bisogno di essere viste, di mettersi in mostra divulgando immagini di loro stesse che nemmeno rappresentano la loro personalità e sensibilità. Invece, da questa analisi è venuto fuori che l’83% delle vittime è maggiorenne. E’ un dato che, da un lato, come rappresentante delle istituzioni, come mamma e come donna, in un certo senso un po’ mi rincuora. Certo, i numeri non sono affatto confortanti. Tuttavia noi abbiamo specialisti, come la polizia postale, impegnati nella prevenzione di tutti quei reati che riguardano gli strumenti informatici». 

Passiamo alla quarta fattispecie, la violazione dei provvedimenti cautelari emessi nei confronti degli uomini maltrattanti.

«Questo reato ha fatto registrare un numero altissimo di trasgressioni. Purtroppo spesso il maltrattante, nel momento in cui viene sottoposto a un provvedimento cautelare o pre-cautelare, non mette fine alla propria condotta. Tant’è che abbiamo potuto verificare come le trasgressioni siano state accompagnate spesso da altri comportamenti violenti nei confronti delle vittime. La Sicilia è al primo posto, seguono il Lazio e il Piemonte. Questo reato è stato frenato, ridotto dal lockdown. E’ chiaro che, facendo una considerazione generale, noi ci troviamo in un anno molto particolare, quello della pandemia, che non rappresenta la normalità delle cose. Le misure della quarantena hanno condizionato molto tutti i dati. I maltrattamenti contro familiari e conviventi hanno mantenuto numeri elevati perché pertengono alla sfera della violenza domestica, inasprita dal lockdown. Abbiamo fatto un’analisi delle chiamate al numero anti-violenza 1522 e abbiamo notato che tra marzo e aprile le chiamate sono aumentate e i reati di violenza domestica sono diminuiti. Dopo la quarantena, i reati sono aumentati e le chiamate sono calate, perché finito il lockdown le donne sono uscite di casa e hanno potuto rivolgersi alla forze di polizia, chiedere aiuto e denunciare gli abusi». 

Nel periodo della quarantena sappiamo che i centri anti-violenza erano chiusi e molte donne non chiedevano aiuto al telefono per paura di essere scoperte dai conviventi aguzzini. Una parte delle violenze domestiche è restata così nel silenzio.

«Io voglio ricordare che comunque gli uffici di polizia sono aperti 24 ore su 24. E il messaggio che noi mandiamo sempre, anche quando svolgiamo attività di sensibilizzazione nelle scuole e nelle piazze, è che se anche sono passati quindici- venti giorni dal reato, questo non perde la propria rilevanza. E’ importante che le donne vengano a denunciare, ma anche a parlare, confrontarsi, capire quali vie di uscita ci sono per loro. Perchè spesso le vittime sono intrappolate in un tale terrore - di perdere magari i figli, il sostentamento economico - che non si rendono più conto di cosa sia giusto e non giusto fare, finiscono per perdere la linea di demarcazione tra le due cose. Rivolgersi alle forze di polizia per capire come comportarsi è essenziale. Ad esempio, tante donne non sanno che esiste la possibilità dell’allontanamento d’urgenza del soggetto maltrattante dalla casa familiare che può essere effettuato dalle forze di polizia intervenute sul posto e provvedimenti che possono fungere da deterrente».

Pensa che le donne siano abbastanza sensibilizzate sull’importanza e l’utilità di rivolgersi alla polizia? Ritiene che questa cultura sia diffusa?

«Penso che la consapevolezza sia aumentata, perché le forze di polizia nell’ultimo decennnio hanno cambiato passo: mentre prima rimanevano chiuse nei loro uffici, adesso si sono aperte all’esterno, con tante campagne di sensibilizzazione e attività nelle scuole. Esiste la figura del poliziotto e del carabiniere di quartiere, alla quale ci si può rivolgere informalmente, che rappresenta le isitituzioni e che diventa in qualche modo familiare, rassicurante. Le forze di polizia si stanno attrezzando con gli strumenti tecnologici (come l’applicazione Youpol, nata per segnalate fenomeni di bullismo e spaccio di droga e che durante il lockdown è stata allargata ai casi di violenza domestica). Esiste inoltre una sorta di commisssarirto online. Le forze di polizia di stanno adeguando, insomma, ai cambiamenti della società. Credo che ci sia ancora molto da lavorare, invece, sull’uomo maltrattante: è fondamentale aiutare a diffondere tra gli uomini la cultura del rispetto di genere e della relazione paritaria. L’uomo va educato fin da ragazzino. Su questo punto penso che dobbiamo tutti lavorare di più, forze di polizia, mezzi di comunicazione, famiglia, scuola, educatori, tutta la nostra società».

Secondo lei l’aumento in questi anni delle figure femminili, anche in ruoli di rilievo, all’interno delle forze di polizia ha contribuito alla sensibilizzazione sul tema della violenza contro le donne?

«Certo. Una donna in difficoltà si apre e si racconta molto più facilmente davanti a un’altra donna perché si crea un’empatia e probabilmente si sente più compresa. Vorrei aggiungere, poi, che oggi negli uffici di polizia e carabinieri esistono percorsi appositi per le donne vittime di violenza che vengono accolte in stanze per l’ascolto protetto. Le cose stanno cambiando e ci auguriamo che il cammino vada avanti». 

Multimedia
Dalla clausura un monito: «La virilità è protezione, non violenza»
Correlati
Segui il Giubileo 2025 con Famiglia Cristiana
 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo