Un po’ meno nel nome del padre di qui in poi: padre minuscolo, ovviamente, perché non è di Dio che stiamo parlando, bensì di umanissimi papà, di cognomi, di leggi e forse anche un poco di come evolve la nostra società. D’ora in avanti, se mamma e papà all’anagrafe non decideranno di comune accordo diversamente, al neonato non sarà più attribuito in automatico il cognome del padre ma quello di entrambi i genitori.
«La Corte Costituzionale», si legge nel comunicato che anticipa la sentenza, «si è pronunciata sulla norma che non consente ai genitori, di comune accordo, di attribuire al figlio il solo cognome della madre e su quella che, in mancanza di accordo, impone il cognome del padre anziché quello di entrambi i genitori e ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre, con riferimento ai figli nati nel matrimonio, fuori del matrimonio e ai figli adottivi».
Come si è giunti a questa decisione
Al momento quello che sappiamo della decisione, le cui motivazioni saranno depositate nelle prossime settimane, è che la Corte ha ritenuto: «discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre. Nel solco del principio di eguaglianza e nell’interesse del figlio, entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome, che costituisce elemento fondamentale dell’identità del figlio».
L’automatismo dell’attribuzione del cognome del padre è stato ritenuto illegittimo perché va «in contrasto con gli articoli 2, 3, e 117 della Costituzione»: per tradurla in parole molto povere possiamo dire che ci sono in gioco i diritti inviolabili del figlio (articolo 2), il principio di non discriminazione riguardo alla madre (articolo 3), il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento europeo (articolo 117. C. 1, articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo).
Che cosa cambia quando si iscrive all’anagrafe un nuovo nato
La regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine da loro concordato, a meno che non decidano insieme di attribuire soltanto il cognome di uno dei due. Se i genitori non sono d’accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi, si decide con l’intervento del giudice. Il tutto diverrà operativo dal momento in cui la sentenza della Corte sarà depositata. A differenza che in altri casi, come fine vita ed ergastolo ostativo, la Consulta non ha dato al Parlamento un lasso di tempo per intervenire, ha deciso.
Tutto chiaro? Sì, ma mancano i dettagli
In questa cornice generale, restano infatti alcuni aspetti da definire, non per caso la Corte rimanda al legislatore il compito di regolare tutti gli aspetti connessi alla decisione presa in camera di consiglio il 27 aprile 2022. Questo perché si tratta di prevenire complicazioni burocratiche che potrebbero determinarsi, a cominciare dal problema non immediato, ma inevitabile, che, in assenza di una norma specifica, un doppio cognome diventi quadruplo alla seconda generazione e via seguitando.
Il paradosso di una legge che non c'è
Con questa decisione la Consulta dà, per così dire, una spinta a un tema di cui si discute da oltre quarant’anni, cioè dai tempi della riforma del diritto di famiglia, senza che il Parlamento abbia trovato il tempo o forse la coesione per regolare con legge questo argomento. Di tanti disegni e progetti sul tema passati negli anni per il Parlamento, mai nessuno finora è diventato legge. L’aspetto curioso è che, in realtà, in Italia non c’è mai stata fin qui neppure una legge specifica che abbia detto che al figlio si dovesse attribuire automaticamente il cognome del padre, né che fosse vietato fare altrimenti. Questa prassi di iscrizione all’anagrafe è, infatti, sopravvissuta, appoggiandosi su una combinazione di norme diverse, stratificate nel tempo e non del tutto coerenti tra loro.
Tra storia della lingua...
Non è casuale che siano molti in Italia i “patronimici”, cioè cognomi che indicano la discendenza a partire dal nome proprio del padre o della famiglia paterna: Dante Alighieri, è Durante degli Alighieri. Francesco di Giorgio Martini è il pittore Francesco figlio di Giorgio verosimilmente discendente di un Martino... Così si sono formati e cristallizzati tanti cognomi nel nostro Paese, compresi tanti “di/Di” e “de/De” non necessariamente di nobili natali. A proposito dei rari cognomi al femminile che rimandano a “matronimici”, ossia alla madre, Rohlfs, autore di una fondamentale grammatica storica dell’italiano e dei suoi dialetti, osservava: «non credo però si possa trattare di influssi o riflessi di un vero matriarcato, ma piuttosto di accenni a una lontana discendenza spuria ovvero a un padre ignoto». Per non dire dei tanti Esposito e Degli Esposti che rimandano a un capostipite affidato appena nato alla ruota degli esposti.
…E storia del diritto, consuetudine e Costituzione
Lì più o meno nei secoli siamo rimasti, avendo il tutto alla base una consuetudine legata alla tradizione del diritto romano e al concetto di pater familias che ha trovato un riflesso nel Codice civile italiano del 1942, nel punto in cui assegnava al marito nel matrimonio il ruolo di capofamiglia. Tale è rimasto, il padre, fino alla riforma del diritto di famiglia del 1975, benché l’articolo 29 della Costituzione (1948) riconoscesse già «uguaglianza morale e giuridica» ai coniugi, pur con limiti previsti dalla legge a tutela dell’unità della famiglia.
Com’è cambiata nel tempo l’uguaglianza in famiglia
Nei decenni man mano che la società evolveva e che la Costituzione trovava progressiva attuazione, i paletti di quei limiti di legge si sono spostati: si sono fatti passi avanti in direzione del principio di non discriminazione per le donne e per i figli.
Dal 1975, per esempio, i coniugi decidono insieme dove la famiglia debba risiedere, non è più il marito a farlo con obbligo per la moglie di seguirlo. Già prima, nel 1968 la Corte costituzionale aveva dichiarato incostituzionale la legge penale che legittimò per esempio il fatto che l’adulterio della Dama Bianca fosse penalmente sanzionato più gravemente di quello di Fausto Coppi. Dal 1981 le cause d’onore, di mariti e padri, hanno cessato di essere un’attenuante nel codice penale. Nel 2013 il decreto legislativo n.154 ha eliminato ogni differenza tra figli legittimi, nati fuori dal matrimonio e adottati. In tutto questo il fatto che l’identità di un figlio possa definirsi non più solo attraverso il cognome del padre può apparire una sfumatura, forse lo è, ma come tante sfumature indica un mutamento culturale, perché il nome ha a che fare con l’identità, con il modo con cui le persone si definiscono a partire dalle parole.
Dalla patria potestà alla responsabilità genitoriale
Ne è un esempio il fatto che la “patria potestà” è stata sostituita dalla “potestà genitoriale” nel 1975, e nel 2013 la potestà è scomparsa a vantaggio della “responsabilità genitoriale” in tutto il Codice civile: si tratta di una scelta di termini che sottolinea dapprima lo spostamento dell'attenzione in direzione dell’uguaglianza tra uomini e donne nella famiglia e successivamente sul mettere al centro il miglior interesse del figlio minorenne.
Possono sembrare concetti scontati nel 2022, ma forse non lo sono se è vero che ancora all’ultima inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione Pietro Curzio primo presidente della Suprema corte sottolineava come in Italia, in un contesto di sostanziale sicurezza, con un tasso di omicidi volontari tra i più bassi al mondo, oltre un terzo hanno avuto nel 2021 per vittime donne, per il 70% per mano del partner o dell’ex. Un segno che ha indotto l’alto magistrato a chiosare: «Questo tipo di suddivisione è costante negli ultimi anni, si inquadra in un preoccupante incremento dei reati all’interno della famiglia ed è sintomo evidente di una tensione irrisolta nei rapporti di genere, di un’uguaglianza non metabolizzata».
Come e perché la Corte costituzionale ha cambiato idea negli anni
È in questo contesto che nel frattempo la Corte Costituzionale si è pronunciata più volte sul tema del cognome, avvicinandosi progressivamente alla decisione del 27 aprile 2022. La prima volta nel 1982 affermava che non c’era legge che imponesse il solo cognome del padre né una legge che impedisse di fare altrimenti, ma ritenne il ricorso inammissibile perché vigeva una consuetudine consolidata «in tutti gli Stati».
Nel 1988 aveva dichiarato inammissibile il ricorso, ma auspicava che il legislatore potesse adottare un «criterio diverso più rispettoso dell’autonomia dei coniugi».
Nel 2006 rimandò al legislatore la questione senza dichiarare incostituzionalità, ma affermò che «l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna».
L’ultima volta, nel 2016, dichiarò «l’illegittimità costituzionale della norma (…) nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno». Dal 2017 è infatti è possibile, se i coniugi lo scelgono, aggiungere per il nuovo nato il cognome della mamma a quello del papà. Ma pochi fin qui hanno scelto così, forse per abitudine forse perché ancora pochi sapevano di poterlo fare, e in assenza di scelta prevaleva il cognome del padre. Da qui a qualche settimana invece prevarrà quello di entrambi i genitori.
Il contesto internazionale
Nell’evolversi delle pronunce della Consulta ha certo inciso il cambiamento di sensibilità della società in direzione dell’uguaglianza, su cui ha pesato il contesto internazionale in cui come democrazia pluralista ci muoviamo: Come ricorda Maria Dell’Anno, intervenuta di recente sul tema con un saggio su Filodiritto, «già nel 1985 l’Italia ratificò la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (CEDAW), adottata a New York nel 1979, che impegna gli Stati ad adottare tutte le misure adeguate per eliminare la discriminazione nei confronti della donna in tutte le questioni derivanti dal matrimonio e nei rapporti familiari e, in particolare, ad assicurare “gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome”».
Mentre nel 2014 (ricorso n. 77/07, Cusan e Fazzo contro Italia) la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha sanzionato l’Italia per violazione dell’articolo 14 (divieto di ogni forma di discriminazione) e dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Non per caso sono le stesse norme che richiamate nel comunicato della Consulta.
Paese che vai cognome che trovi
Fin qui l’Italia sul tema del cognome ha agito in modo simile al Giappone, una delle società più patriarcali al mondo. In molti altri Paesi, tra cui molti europei, la scelta è affidata alla responsabilità dei genitori e il doppio cognome non è precluso. In alcuni Paesi nordici, e in Austria, in caso di mancato accordo nella coppia prevale il cognome della madre. In Spagna e in molti Paesi latino-americani il figlio riceve in automatico un doppio cognome composto dal primo cognome dei due genitori.
Nel mondo anglosassone il sistema è molto libero, si può anche decidere (secondo le leggi e gli Stati) di assegnare un cognome diverso da quelli dei genitori, con in genere il limite del fatto che non sia offensivo o ridicolo. In questo senso, la decisione della Corte costituzionale potrebbe indirettamente agevolare di qui in poi anche in Italia la situazione di un bimbo che nascesse in una casa in cui il padre ha avuto in sorte un cognome ridicolo. Fin qui cambiarlo era possibile ma complicato, ora basterà che i genitori decidano di dargli il cognome della mamma. Tra le altre cose, come tutte le sentenze della Corte costuzionale anche questa sarà retroattiva, il cognome di un figlio già nato potrà essere cambiato volendo secondo le nuove norme, facendo ricorso al Prefetto.