Cari amici lettori, mentre scrivo si è concluso da poco il “pellegrinaggio penitenziale” di papa Francesco – così egli stesso ha definito il suo viaggio apostolico in Canada, di cui troverete un resoconto più puntuale alle pagine 6-11. Motivo del viaggio del Papa, in tre tappe tra il 24 e il 30 luglio, sono state le violenze, gli abusi e i maltrattamenti, in nome di un’assimilazione “culturale” imposta con la forza, subiti da migliaia di bambini dei popoli indigeni, ritenuti inferiori, nelle cosiddette scuole “residenziali” del Paese, di cui metà in mano a istituzioni cattoliche.
Un vero orrore, emerso un anno fa con il ritrovamento di numerose tombe con resti di bambini. Un viaggio delicato, all’insegna della vergogna e del dolore di ciò che è potuto accadere per opera anche di cristiani. Eppure, alla non tenera età di 85 anni e nonostante gli acciacchi del fisico – è costretto a muoversi in carrozzella per un problema al ginocchio – il Pontefice non si è tirato indietro. Una lezione di coraggio, di franchezza, di chi non si sottrae a situazioni scomode e dolorose. Una lezione di umiltà evangelica, di preghiera, di parole di verità alle delegazioni dei popoli indigeni canadesi, di richiesta di perdono, additando strade per la guarigione della memoria e la riconciliazione.
Tutto questo con la consueta capacità umana di empatia, di ascolto, di vicinanza, senza schermi e autodifese. Ancora una volta papa Francesco ci insegna che, di fronte alle sofferenze e alle ingiustizie, anche quelle perpetrate da uomini e istituzioni di Chiesa, l’atteggiamento che più coerentemente risponde al Vangelo è sempre quello di mettersi dalla parte delle vittime.
Sono le vittime che hanno bisogno di “difesa”, a loro la Chiesa deve chiedere perdono con vergogna, sono loro che devono essere accompagnate per ritrovare quella dignità che è stata calpestata. Non è la Chiesa o l’istituzione religiosa che deve essere difesa per salvaguardare la “faccia”. Indossando il copricapo tradizionale degli indigeni, papa Francesco si è messo al livello degli interlocutori. Metaforicamente e realmente si è messo nei loro panni con le parole di san Paolo, si è «fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli» e «ha pianto con chi piange».
È venuto «come amico, come fratello, come pellegrino», come ha detto in uno degli incontri. Ha mostrato – con i gesti e le parole – come si affrontano le situazioni “spinose” nella vita della Chiesa: con la verità e con coraggio. Senza paure e senza incertezze. Tra i tanti viaggi di Francesco, questo in Canada mi è sembrato tra i più commoventi. Un’immagine di quello che la Chiesa è chiamata ad essere in questo tempo se vuole essere credibile: non “difendere” se stessa, ma essere vicina alle vicende degli uomini e delle donne, alle loro «gioie e tristezze» come si esprimeva Gaudium et spes, portando loro la vicinanza di Cristo, che non ha temuto di avvicinarsi agli ultimi per sanare, riabilitare, portare vita dove c’era morte.