di Valentina Barile
foto di Stefano Stranges
La comunità indigena del Sande ha subito un nuovo trasferimento forzato, lo scorso 13 settembre: 5000 indigeni Awá sono stati presi con la forza e allontanati dalle proprie terre. Il territorio della riserva è attualmente sotto il controllo dell’ELN (Ejército de Liberación Nacional), ma rappresentando una delle vie strategiche più importanti per il traffico illegale di cocaina ed eroina, e l’estrazione massiva di oro, manganese e altri minerali, vede coinvolti altri attori in questa guerra ingiusta.
Al confine tra Colombia e Ecuador, in quella lingua di terra che è nota come “corridoio della droga”, gli Awá sono fra i popoli indigeni più a rischio estinzione perché vivono continuamente sotto attacco. L’importanza geostrategica del territorio è data dalla cordigliera centrale del Nariño, punto cruciale per gli affari illegali che dall’interno del Paese si dirigono verso il Pacifico, fino ad arrivare a Tumaco, il famoso porto di smistamento.
La Colombia vive un conflitto armato da più di sessant’anni. Sono quasi nove milioni le vittime, tra morti, desaparecidos, sparizioni forzate, sequestri, attentati. Le aree interne del Paese sono controllate dalle varie fazioni, in guerra fra loro, che continuano autonomamente a gestire i territori e le riserve indigene. Gustavo Petro, presidente dal 2022, sta lavorando alla bonifica delle terre coltivate illegalmente per restituirle ai nativi.
«Ciò che chiede il Sande, oggi, dopo trentacinque anni di guerra territoriale ininterrotta, a eccezione del periodo 2004-2007, quando abbiamo stipulato il “Pacto Local de Paz”, l’accordo di pace locale temporanea tra società civile e gruppi armati, è di cessare il fuoco su ogni fronte e lavorare al progetto di vita, pace e protezione della riserva». Harold Montúfar Andrade, 53 anni, è difensore dei diritti umani, coordinatore dell’Instituto Alexander von Humboldt e direttore dell’Espacio educativo para la paz y el buen vivir di Samaniego, insieme alla Ong italiana OIKOS. È proprio Harold che insieme ad altri leader sta aiutando i nativi Awá a trovare pace. Lo aveva già fatto con il “Pacto Local de Paz” quando è stato sindaco di Samaniego, e continua a farlo perché le comunità possano riprendere possesso dei propri territori.
«Si tratta di 8000 nativi allontanati dalle proprie terre: 5000 sono della riserva “El Sande”, 2400, della “Montaña”, e 600 arrivano da “Planadas Telembi”. Si combatte nei villaggi, si spara senza scrupolo, e le mura delle case sono diventate trincee», continua Harold, «per questo ci stiamo occupando dell’accoglienza di tutte queste persone rimaste senza casa e terra. Dagli alloggi agli alimenti, dai farmaci ai vestiti. Stiamo coinvolgendo i mezzi di comunicazione, le istituzioni, e il Governo centrale».
Nuvia Martínez Alayón, 55 anni, religiosa delle Misioneras de la Inmaculada Concepción, accompagna i giovani, le laiche e i laici nei percorsi di spiritualità, non solo perché abbiano fiducia nella Chiesa, ma «affinché si crei coesione per andare insieme verso le battaglie collettive», dice. L’obiettivo della società colombiana è la pace. «In questi giorni terribili per il Sande e per le riserve confinanti si continua a lavorare sulla pastorale amazzonica. Nonostante i massacri, nonostante l’emergenza in cui viviamo continuamente, dobbiamo lottare perché i nostri giovani possano tenersi lontani dall’illegalità», conclude Nuvia.
Le organizzazioni indigene, sia territoriali sia nazionali, il governo dipartimentale del Nariño, i difensori dei diritti umani, i leader sociali e religiosi hanno chiesto al ministero dell’Interno colombiano la costruzione di una mesa humanitaria permanente, ossia un progetto di pace contenente le strategie per la trasformazione dei territori, i piani d’azione integrati, gli accordi di pace tra i gruppi armati perché le persone devono rientrare a casa.
(Nella foto sopra: studentesse in ricreazione nella Riserva indigena “El Sande”, nel Dipartimento del Nariño, in Colombia. Nella foto di copertina: Harold Montúfar Andrade, difensore dei diritti umani)
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