Sono passati 23 anni dal 1992, che Sky da domami sera porterà in Tv in forma di fiction. Gherardo Colombo non è cambiato molto fisicamente, a parte i riccioli un tantino diradati. Ma oggi fa un altro lavoro: diffonde la legalità nelle scuole, scrive, presiede la Garzanti libri e osserva il circo mediatico dal Cda della Rai.
Ha appena pubblicato un libro Lettera a un figlio su Mani pulite, per raccontare quell’anno formidabile e orribile a chi non era nato. Se dovesse dare una sintesi, veloce, del 1992 nella sua vita che anno è stato?
“E’ l’anno in cui mi sono messo con mia moglie: abbiamo avuto due figli e stiamo ancora bene insieme. Mani pulite soggettivamente la definirei “un’altra occasione”. Mi spiego: nel 1981 avevo scoperta con il collega Turone le carte della P2: se fossero rimaste a Milano avremmo scoperto Tangentopoli allora; la Cassazione ha deciso che le carte andassero a Roma e non è emerso nulla. La stessa cosa è accaduta per le indagini sui fondi neri IRI, quattro anni più tardi. Io vedo il 1992 come l’anno in cui si può pronosticare che, attraverso le scoperte investigative, il sistema della corruzione diventi finalmente evidente a tutti”.
Vedendo quel che accade oggi, ha l’impressione che vent’anni dopo l’opinione pubblica sia più o meno cosciente del fatto che la corruzione è un problema grave?
“I cittadini hanno tenuto un atteggiamento incostante sull’argomento: nel febbraio del 1992 viene arrestato Mario Chiesa, l’indignazione dell’opinione pubblica cresce molto rapidamente. Quando vengo affiancato a Di Pietro nell’aprile del 1992 l’indignazione è elevatissima, e manifestata con clamore. Resiste a livelli notevoli fino al 1994, poi comincia a calare. Io credo che ci sia una certa schizofrenia: si vede molto bene la corruzione degli altri, mentre non si vede per niente la propria; per questo in questo Paese la corruzione è un fenomeno endemico, che si verifica con una frequenza impressionante, a qualsiasi livello”.
L’opinione pubblica se ne rende conto?
“Non abbastanza. Io non credo che un ipotetico vigile che andasse a prendere tutte le mattine il caffè gratis al bar e poi chiudesse un occhio di fronte alle auto in sosta vietata davanti al bar stesso percepirebbe il suo comportamento come corruzione”.
Parlava dell’attenzione dell’opinione pubblica: all’inizio di Mani Pulite avevamo una magistratura incitata dalla piazza, oggi si assiste a un’opinione pubblica insofferente alla “casta”, nella quale include anche la magistratura. Entrambe le cose sono eccessive, dov’è il giusto mezzo nel rapporto tra giustizia, media, politica e pubblica opinione?
“Mi pare che nel complesso si possa dire che è una fase di un grande disorientamento. Il giusto mezzo sarebbe avere istituzioni che funzionassero in modo per lo meno decente nel loro complesso, perché in tal caso sarebbero credibili. Ho la sensazione, invece, che si sia perso tutti credibilità per motivi diversi: la politica l’ha persa da tanto tempo per via di ciò che emerge dalle indagini sulla gestione del potere per interessi privati, che nulla hanno a che vedere con il bene comune; invece la magistratura si trova in difficoltà, da un lato, per effetto di anni e anni di attacchi quasi sempre ingiustificati, e, spesso funzionali ad interessi di parte; dall’altro perchè agli occhi della pubblica opinione, non si capisce sempre come si possa passare da una condanna in primo grado a una assoluzione in secondo, e a rimettere tutto in gioco in Cassazione. I motivi fisiologici per cui si verifica tutto ciò sono lontani dalla comprensione di chi guarda solo ai verdetti e non alle ragioni della loro diversità. Credo quindi che sia diffusa l’idea che la giustizia funzioni male non soltanto per la lunghezza dei tempi del processo, ma anche per la giustezza delle decisioni.”.
Questo accadeva anche prima, perché ora disorienta così tanto?
“Forse anche perché tutta l’attenzione è concentrata sul processo penale, per cui non si vede altro che condanna o assoluzione in tribunale : sono sparite dal dibattito la responsabilità amministrativa, professionale, disciplinare, morale. Qualsiasi problema che riguardi la correttezza delle relazioni finisce misurato agli occhi dell’opinione pubblica attraverso il processo penale e questa è una distorsione forte, perché così si assegna al processo la misura della “eticità”, lo dico molto tra virgolette, dei comportamenti. Se questa misura per una serie di motivi - che possono riguardare la ricostruzione del fatto, l’esistenza dell’intenzione, altri fatti tecnici- appare oscillante, si crea disorientamento. E siccome questo disorientamento è attribuito alla magistratura, anche la magistratura è in crisi di credibilità. Oggi la mia impressione è che reggano soltanto, in termini di credito di fiducia, Papa Francesco e probabilmente, ma è presto per dirlo perché è stato eletto da poco, il presidente Mattarella. Per il resto la sfiducia mi sembra generalizzata. Sono stato convinto per tanto tempo che alle persone, per orientarsi, bastasse una informazione corretta e completa. Oggi credo che siano necessari anche dei punti di riferimento”.
Ha scritto: “I ragazzi che non erano nati hanno del 1992 una percezione nebulosa”, dal suo osservatorio nelle scuole, quali confusioni ha visto emergere da questa nebbia?
“Sul periodo che sta in mezzo tra la cronaca e la storia mancano le informazioni, è molto difficile che i programmi scolastici ci arrivino, e questo è un Paese poco incline a tramandare memoria per altre vie. Ne consegue che i ragazzi fanno molta confusione: succede magari che credano che la bomba a piazza Fontana l’abbiano messa le Br. La cosa più frequente è che si ripeta pappagallescamente quello che si sente in giro, acriticamente. I ragazzi – molti almeno – assorbono questo stile degli adulti Però, mentre gli adulti sono poco propensi a spostare di una virgola le proprie convinzioni, i ragazzi sono più disponibili e lo sono perché hanno meno storia alle spalle e meno posizioni da difendere. Voglio dire che con loro è più facile lavorare”.
L’accusa che veniva rivolta alla magistratura nel 1992 era di abusare della custodia cautelare, oggi l’accusa è di abusare delle intercettazioni, se non come strumento di indagine, come loro diffusione. Sono accuse che hanno qualche fondamento? La magistratura ha sbagliato qualcosa, fosse solo nel reagire all’impatto mediatico?
“I magistrati devono osservare le regole nell’esercizio delle loro funzioni, e mi pare che generalmente lo facciano; anche se capita talora che sbaglino, e qualche volta succede, spero raramente , che le violino volontariamente (gli ultimi processi cui ho partecipato a Milano riguardavano, per dire, la corruzione di magistrati). Personalmente mi sono stancato di dare la dimostrazione della correttezza dell’applicazione della custodia cautelare in Mani pulite, perché sono più di vent’anni che lo faccio. Per le intercettazioni i problemi più evidenti sembrano riguardare da una parte la segretezza del loro contenuto nella fase delle indagini, e, dall’altra la diffusione di contenuti che non hanno rilievo penale. Ecco, su questi temi forse la magistratura non è riuscita, mediaticamente, a comunicare adeguatamente sia quali sono le regole che disciplinano la materia sia le difficoltà di gestione della medesima. Credo sarebbe auspicabile che al pubblico venisse comunicato soltanto ciò che è rilevante penalmente”.
Qui però le esigenze del processo e quelle dell’informazione divergono, l’interesse pubblico non si esaurisce nell’interesse penale…
“Ma le intercettazioni sono uno strumento destinato ad acquisire notizie di rilievo penale e solo quelle...”.
Con Mani pulite avevate i cronisti che vi seguivano in ogni corridoio, come ci si regola davanti a una pressione così?
“Io avevo una regola categorica: semplicemente non rispondevo alle domande. Il rapporto deve essere istituzionale: se una cosa si può dire la si dice ufficialmente, non in corridoio”.
Resta il fatto che l’informazione non si ferma, giustamente, davanti al riserbo, e i tempi della giustizia (lunghi) e quelli dell’informazione (sempre più corti) divergono: come bilanciare due esigenze che chiamano in causa diritti costituzionali?
“A me pare che in passato ci fosse un maggior senso di responsabilità: l’informazione si poneva di più il problema di dare o non dare una notizia se la sua diffusione avrebbe danneggiato un’indagine o se messo in una luce negativa un bambino finito in un fatto di cronaca e probabilmente anche le fonti prime da cui le notizie uscivano erano meno permeabili: penso a magistrati, al personale amministrativo, all’agente di polizia, ma anche all’avvocato e agli indagati. Voglio dire che per me il problema si risolve con deciso cambiamento della cultura, con una virata forte verso il rispetto delle persone”.
Tornando al 1992, al netto di confusioni e distorsioni, ha la sensazione che sia passata di quell’anno una lettura attendibile oppure no?
“Secondo me non è che del 1992 si sia parlato molto: l’inizio di Mani pulite è una parte di qualcosa di più ampio con il quale spesso lo si confonde, una parte di una storia che va almeno fino al 1997. È difficile isolare il 1992 (magari Sky ci riesce) se non dal punto di vista simbolico”.
Mani pulite è un’indagine precisa che ha un luogo e un tempo, Tangentopoli è il sistema della corruzione. Mani pulite è finita, il sistema è ancora quello?
“Tangentopoli esiste ancora. Magari è meno strutturata, credo che si sia molto ridotto il finanziamento illecito ai partiti, e in conseguenza la connessione con la corruzione, ma ancora mi pare che il mercimonio intorno alla cosa pubblica sia ancora diffuso e non solo ad alti livelli”.
L’indagine Mani pulite, con lo strumentario normativo attuale, sarebbe possibile oggi?
“E’ difficile dirlo. Allora le leggi davano ai magistrati maggiori possibilità di quelle di oggi (per esempio la prescrizione aveva termini più lunghi, le disposizioni su alcuni reati erano più incisive, e così via). Oggi però tecnologia e informatica danno contributi che ai nostri tempi nemmeno potevamo immaginarci”.
Passando da Mani pulite all’indagine di poco successiva sulle Toghe sporche: si è parlato molto della condanna di Previti in quell’indagine, si è parlato poco della condanna del giudice Metta. La politica non ha fatto molta autocritica in tema di corruzione, la magistratura ha riflettuto abbastanza secondo lei su quanto emerso da quei processi?
“Non credo che le indagini sulla corruzione di magistrati sia cosa diversa da Mani pulite. Non sono più magistrato da tempo, fatico a vedere la situazione interna oggi. A volte però ho l’impressione che il tema sia stato un po’ rimosso. Il che non toglie che l’istituzione magistratura, nonostante non sia esente da atteggiamenti corporativistici, abbia sempre preso con grande chiarezza distanze forti da suoi appartenenti risultati corrotti, cosa che non sempre si verifica altrove”.