Il 15 marzo 2016 ricorre, per la Siria, un tragico anniversario: è, infatti, il quinto anno di guerra e distruzioni. Una catastrofe senza pari. Centinaia di migliaia di morti (quelli accerati risultanto essere almeno 260.000), quasi 5 milioni di rifugiati e 7 milioni di sfollati interni. “Cacciati e rifiutati” è il titolo del dossier che la Caritas italiana pubblica proprio per riflettere sul dramma di questi uomini, donne e bambini, spesso rifiutati, come in Europa, o resi merce di scambio fra chi li accoglie e chi li non li vuole.Ne emergono dati e testimonianze frutto di una ricerca sociologica sul campo, fra i rifugiati siriani accolti in Libano.
La Caritas italiana – grazie anche al contributo di un milione di euro del Comitato Cei 8 per mille - dall’inizio della crisi a tutto il 2015, ha risposto agli appelli di Caritas Siria e delle Caritas nazionali dei Paesi del Medio Oriente che hanno accolto i rifugiati (Giordania, Libano, Turchia, Grecia e Cipro), sostenendo interventi per un totale di 2.800.000 euro, dei quali oltre 1.200.000 nella sola Siria, in cui per il 2016 sono stati già messi a disposizione quasi 500.000 euro.Si tratta quasi ovunque di programmi di assistenza di base, viveri, medicine, alloggi. In alcune zone è possibile sostenere le scuole, ma molto, troppo rimane ancora da fare, nonostante l’impegno degli operatori locali, in condizioni difficilissime.
Per tutti ricordiamo Elias Abiad, un giovane volontario di 22 anni che collaborava con Caritas Siria ad Aleppo, ucciso da una scheggia di mortaio lo scorso 13 febbraio.Due gli appelli che la Caritas italiana lancia con questo dossier: il primo è per l’aiuto immediato. Tutti, a ogni livello di responsabilità, individuale, locale, nazionale e internazionale, devono rispondere. Non è accettabile che le stesse Nazioni Unite dicano che i finanziamenti per i rifugiati stanno diminuendo.Il secondo appello è quello per la pace. È necessario insistere, chiedere, fare ”advocacy” a livello di governi e di istituzioni internazionali. Accanto ad ogni intervento di aiuto deve esserci la denuncia costante perché – come continua a ripetere papa Francesco - non ci si rassegni al “dramma dei profughi che fuggono da guerre e altre situazioni disumane” e si “apra la strada al dialogo e alla pace tanto desiderata