Aumento delle disuguaglianze di genere, peggioramento delle condizioni di lavoro e delle performance lavorative, ruolo marginale nella formulazione e approvazione di misure e azioni di emergenza per affrontare la crisi sanitaria, contrazione del numero di nuove imprese create da imprenditrici donne. Senza parlare, poi, dell’incremento dei carichi di cura familiare o dei maggiori effetti riscontrati sulla salute mentale.
Sono solo alcune conseguenze causate dalla pandemia sulle condizioni socio-economiche delle donne in Italia durante l’emergenza sanitaria. A scattarne una fotografia dettagliata, anche grazie a puntuali indagini quantitative, è il Progetto Career – CARE for womEn woRk, frutto della collaborazione tra Università Cattolica del Sacro Cuore e Politecnico di Milano e nato con il duplice obiettivo di comprendere le implicazioni dell’epidemia Covid-19 sulla vita delle donne lavoratrici italiane e di trovare soluzioni di sostegno efficaci al fine di contenere un possibile peggioramento di un divario di genere già tra i più alti al mondo.
La pandemia di COVID-19 e le diverse misure restrittive per limitarne la diffusione hanno incoraggiato le istituzioni e organizzazioni del lavoro a promuovere il lavoro da casa.
Dall'inizio dell'emergenza sanitaria, solo in Italia, coloro che lavorano da casa sono aumentati di 5 volte rispetto al periodo pre COVID-19 ed è ormai evidente che i cambiamenti relativi al lavoro da remoto non termineranno con la pandemia, ma diventeranno strutturali nell'organizzazione del lavoro.
Tuttavia, l’impatto della pandemia sulle condizioni lavorative delle donne è stato diverso rispetto a quello patito dagli uomini. Aumento delle disuguaglianze di genere, peggioramento delle condizioni di lavoro e delle performance lavorative, ruolo marginale nella formulazione e approvazione di misure e azioni di emergenza per affrontare la crisi sanitaria, contrazione del numero di nuove imprese create da imprenditrici donne. Senza parlare, poi, dell’incremento dei carichi di cura familiare o dei maggiori effetti riscontrati sulla salute mentale. A fronte di questo scenario, a partire da Marzo 2020, il progetto CAREER (CARE for womEn woRk), finanziato dal Fondo Integrativo Speciale per la Ricerca e nato dalla collaborazione tra l'Università Cattolica del Sacro Cuore e il Politecnico di Milano, ha voluto indagare in profondità i vissuti delle donne lavoratrici per identificare ambiti e soluzioni di intervento.
La minaccia identitaria delle donne italiane
Questo perché l’emergenza sanitaria e le misure messe in atto per contenerla hanno lasciato poco respiro alle donne non solo al livello fisico, ma anche a livello sociale e relazionale e in termini di conciliazione tra famiglia e lavoro. I dati di uno studio cross-culturale di CAREER - che ha coinvolto oltre 1.700 partecipanti in tre paesi dell’Europa mediterranea (Grecia, Spagna ed Italia) - mostrano come soprattutto gli intervistati delle famiglie italiane riportino una forte contrazione degli aiuti provenienti dall’esterno (familiari, amici, babysitter o badanti). L’aspetto particolarmente problematico è che nel campione italiano le famiglie si sono riorganizzate ancorandosi alle prescrizioni di genere e quindi soprattutto sulle spalle delle donne. Infatti, a fronte del 55% di rispondenti italiane che dichiara di essersi occupata da sola delle faccende domestiche e dei carichi di cura, sono “solo” il 31 e il 35% di donne rispettivamente in Spagna e Grecia che dichiarano di trovarsi nella stessa situazione. Conseguentemente le partecipanti italiane percepiscono maggiore stress e minore performance lavorativa, non solo rispetto ai partecipanti di genere maschile italiani, ma anche rispetto alle partecipanti spagnole e greche.
Questo dato è stato ulteriormente approfondito in uno studio longitudinale che ha seguito 308 lavoratori nel 2020 in tre diversi momenti della emergenza sanitaria. Ciò che emerge è che i fattori che maggiormente pesano sulla performance lavorativa sono da una parte i problemi di bilanciamento tra famiglia e lavoro, ma anche il senso di minaccia alla propria identità. I cambiamenti di vita e dell’organizzazione del lavoro hanno rivoluzionato i contesti entro i quali la nostra identità prende vita e si alimenta. Questo ha portato molte donne non solo a dover affrontare carichi di cura e lavoro maggiori, ma anche ad affrontare una crisi identitaria perché i confini tra vita personale e lavorativa sono stati cancellati e i luoghi e i simboli che li caratterizzano si sono confusi.
Il lavoro da casa e l’ambivalenza delle donne
Un aspetto, quello dell’aumento del lavoro di cura e gestione famigliare durante la pandemia, al centro della ricerca qualitativa “Il lavoro da casa e l’ambivalenza delle donne”, condotta sempre nell’ambito del progetto CAREER. Il suo obiettivo? Indagare in profondità il vissuto, in termini emotivi, di lavoratori e lavoratrici con particolari carichi di cura familiare (es. genitori e caregivers/situazioni di fragilità), analizzare il ruolo dell’azienda nel supportarli nello svolgimento dei loro compiti di cura e comprendere il sostengo (in termini di welfare, e/o di organizzazione del lavoro) che essi si prefigurano dalla nuova normalità lavorativa.
La ricerca qualitativa condotta all’interno del progetto CAREER ha avuto l’obiettivo di indagare in profondità il vissuto, in termini emotivi, di lavoratori e lavoratrici con particolari carichi di cura familiare (es. genitori e caregivers/situazioni di fragilità), analizzare il ruolo dell’azienda nel supportare i lavoratori nello svolgimento dei loro compiti di cura e comprendere il supporto (in termini di welfare, e/o di organizzazione del lavoro) che essi si prefigurano dalla nuova normalità lavorativa.
Dall’analisi condotta su interviste di gruppo cui hanno partecipato 29 lavoratori e lavoratrici emerge una valutazione ambivalente rispetto al lavoro da casa. Se da un lato, lavorare da casa è stata un’opportunità di crescita, e di sviluppo di maggior senso di appartenenza alla propria famiglia, nonché una occasione per i figli di maturare consapevolezza riguardo il lavoro dei genitori, dall’altra le difficoltà che i partecipanti hanno sperimentato nel conciliare l’ambito lavorativo con quello familiare sono state vissute in maniera molto negativa, con prevalenza di emozioni come paura, sensi di colpa, inadeguatezza, stanchezza e sensazione di rifiuto.
Difficoltà acuite nel gruppo dei caregiver che, pur beneficiando di una positiva riduzione degli spostamenti, si è trovato in una condizione di maggiore solitudine, carenza di aiuti esterni e ancor più schiacciato e in affanno nel gestire l’impegno prolungato nel lavoro da casa e la cura domestica di familiari non autosufficienti.
In questo quadro complesso un buon rapporto con la realtà aziendale può fare la differenza: infatti, i lavoratori hanno raccontato di come le loro imprese li hanno supportati mettendo in campo aiuti psicologici di gruppo, individuali, piattaforme di wellness online e corsi di vario titolo; essi hanno potuto quindi contare su una risorsa efficace nella gestione dello stress. È emerso tuttavia come sia dirimente poter avere un confronto pratico e personale con l’azienda che possa studiare soluzioni profilate per far fronte a bisogni o richieste particolari e gestire al meglio un punto visto con molta apprensione dai lavoratori, vale a dire il rientro al lavoro in presenza.