Soltanto l’essere umano si pone interrogativi sulla vita e sulla morte. Tutti gli altri animali seguono inconsapevolmente un istinto che mira semplicemente all’autoconservazione e alla riproduzione; non sanno di dover morire. Noi invece siamo diversi: pensiamo alla morte e ci interroghiamo sul dopo. La parola di Dio ci dice che la radice di questa diversità sta in quel “sofo” di immortalità che ci fa a somiglianza del Creatore (cfr. Gn 1, 27). Come sarà la vita “altra” oltre il tempo e lo spazio e della quale portiamo in noi una piccola scintilla che ci spinge a guardare oltre? Sarebbe come chiedere a un bambino che si trova ancora nel grembo materno di descrivere questo mondo. Ogni immagine, compresa la “risurrezione della carne”, è una semplice e inadeguata immagine umana per dire che noi andremo nella vita senza ne con tutta la nostra identità, con i nostri affetti, che avremo costruito giorno per giorno attraverso le nostre scelte e con la grazia di Dio. Né si può parlare di “attesa” là dove il tempo e lo spazio sono misure che non esistono.