«Uomo di carità, Realizzatore del bene comune, Costruttore di grandi obiettivi e Visionario». Sono le quattro definizioni che monsignor Nunzio Galantino, presidente dell’Amministrazione del Patrimonio apostolico della Sede Apostolica (Apsa) usa per definire don Luigi Sturzo nel corso della sua lectio magistralis a palazzo Giustiniani. A 70 anni dal telegramma con cui l’allora presidente della Repubblica Luigi Einaudi lo nominava senatore a vita, il prete di Caltagirone, fondatore del Partito popolare, viene indicato come testimone da studiare, ma più ancora da imitare in un tempo come il nostro. Da studiosi occorre diventare discepoli, esorta monsignor Galatnino.
In mattinata il presidente Sergio Mattarella lo aveva ricordato come «uno dei protagonisti della storia politica del nostro Paese, personalità che ha illustrato la Patria, lasciando un'eredità di valori civici che hanno arricchito la vita democratica dell'Italia. Rigoroso promotore della tutela delle libertà durante l'ascesa dei totalitarismi, pagò con l'esilio la sua battaglia contro il fascismo». E pensando anche alla guerra in Ucraina, aveva sottolineato che «la sua dottrina politica, che pone la persona al centro di ogni formazione sociale e dell'iniziativa dello Stato, ha sempre ravvisato nella cooperazione fra popoli e nazioni l'unico metodo efficace di prevenzione e risoluzione dei conflitti bellici e il solo percorso da intraprendere per l'affermazione della pace».
Nel pomeriggio, nella cornice di Palazzo Giustiniani, l’appuntamento organizzato dall’Istituto Luigi Sturzo e dal Centro studio Luigi Sturzo, il sacerdote viene descritto come innamorato del Vangelo, a servizio dell’umanità, costruttore del bene comune. Monsignor Galatino, spiega bene la figura di quello che fu molto più di un politico. «Un elemento attraversa l’intero arco della vita di don Sturzo», dice il presidente dell’Apsa, « ed è senza dubbio il suo non aver mai barattato l’impegno politico e le numerose creazioni sociali che lo hanno caratterizzato con il suo essere uomo di fede e prete. Volle che sulla sua tomba, tra la data della sua nascita e quella della sua morte, fosse inserita la data della sua ordinazione sacerdotale, il 1894. È stato lui stesso quindi a volere esplicitamente che il suo esser prete fosse la cifra per leggere tutta la sua vita di uomo, di credente e di politico». Nella lectio monsignor Galantino si chiede «come ha risposto don Sturzo a una emergenza che era, come la nostra, di natura sociale, politica e culturale? Ha risposto con un’arma che gli derivava dall’essere non uno stratega politico, ma un uomo di fede e un prete che aveva preso sul serio il Vangelo. Fondando la sua azione sul Vangelo, si era reso protagonista di una vera e propria “crociata di amore”, come egli stesso scrisse. L’espressione “Crociata di amore”, per Sturzo, non aveva niente di romantico né tantomeno di bigotto. Esprimeva piuttosto una sua profonda convinzione e la sostanza della sua missione: la cosa pubblica ha bisogno di un atto di amore per il bene delle persone. Soprattutto di quelle che non ce la fanno. Non ci si può impegnare in politica se manca la spinta che viene dall’amore e dalla passione che tendono a trasformare in meglio le situazioni».
Una lezione quanto mai attuale, un richiamo per quella «Chiesa in uscita», per quell’impegno per il bene comune cui tanto invita papa Francesco. Ma, è la conclusione di monsignor Galantino, «allora, come oggi, a certi inviti risponde chi, prima della vocazione sociale e della chiamata al servizio politico, avverte una passione che, per don Sturzo, era passione per il Vangelo. Insomma, fare buona politica per Sturzo significava sentirsi spinto dal Vangelo a trovare risposte alle esigenze concrete della “povera gente”». Le stesse risposte da costruire anche oggi.