Come è cambiata la salute degli italiani negli ultimi 50 anni? Il Censis in collaborazione con Farmindustria ha realizzato una ricerca «Gli italiani e la salute» per raccontare la trasformazione antropologica attraverso il racconto dei 50 Rapporti Censis
Malattie infettive debellate, longevità della popolazione, maggiore attenzione per esami di screening e controlli preventivi. Resta il problema della sostenibilità della spesa pubblica e delle differenze territoriali. Intanto con il web l'informazione sanitaria rischia di diventare più confusa e si registra una pericolosa discontinuità nel ruolo di prevenzione attribuito alle vaccinazioni. Vediamo l’evoluzione della situazione analizzando i diversi decenni.
Gli anni '60. La popolazione aumenta dai 47 milioni del 1950 ai 54 milioni alla fine degli anni '60. Si riduce la mortalità infantile, da 43,9 per 1.000 nati vivi nel 1960 a 30,8 nel 1969. Boom del Pil: +85,5% in termini reali tra il 1960 e il 1970. E si assiste a una transizione epidemiologica: le morti causate da malattie infettive si riducono drasticamente (dal 15,2% nel 1930 al 2,9% nel 1960), aumentano quelle causate da tumori (dal 5,1% al 16%) e quelle dovute a problemi del sistema circolatorio (dal 12,3% al 30%). La sanità delle mutue conta un numero di assicurati che cresce in modo dirompente: la percentuale passa dal 33% della popolazione nel 1950 all'82% nel 1966. La prevenzione attraverso la vaccinazione acquisisce sempre più rilevanza. Vengono introdotte le principali vaccinazioni dell'infanzia: pertosse (1961), poliomielite (introdotta nel 1964 e resa obbligatoria nel 1966), antitetanica (1968 per i nuovi nati, già disponibile dal 1963 per alcune categorie professionali).
Gli anni '70. Il Paese continua ad essere protagonista di una impetuosa
fase di crescita demografica ed economica. La popolazione raggiunge i 56
milioni nel 1979 e aumenta la speranza di vita alla nascita (70,5 anni
per gli uomini e 77,3 per le donne nel 1979). Pil e redditi marciano
speditamente (il reddito segna nel decennio un +61%). La sanità delle
mutue si trova a fare i conti con un numero di assicurati sempre più
elevato, che nel 1976 raggiunge i 54 milioni, pari al 95% della
popolazione. È in questo contesto che si inserisce l'istituzione del
Servizio sanitario nazionale (1978), nato per garantire una copertura
universalistica e pubblica della salute dei cittadini volta a superare
il sistema frammentato e categoriale delle mutue, e assicurare una
gestione regionale e territoriale programmata. Si introduce il nuovo
vaccino contro il morbillo (1976), mentre diventano evidenti gli effetti
positivi delle prime campagne vaccinali: l'incidenza della pertosse si
riduce dai 76,2 casi per 100.000 abitanti del 1961 ai 12,7 del 1981.
Gli
anni '80. Gli occupati nel settore terziario passano dal 38,4% nel
1971 al 46,6% nel 1981, fino al 57,6% all'inizio del nuovo decennio.
Cresce l'attenzione per i consumi culturali e il tempo libero: i
biglietti venduti per spettacoli teatrali e musicali aumentano da 14,1
milioni nel 1971 a 26,8 milioni nel 1988. E c'è un cambio di passo nel
rapporto dei cittadini con la salute. Si delinea un concetto di salute
associato al benessere complessivo della persona. Il ruolo della
vaccinazione continua ad essere centrale nelle politiche pubbliche di
prevenzione: si introducono nuove vaccinazioni (nel 1982 la quarta
obbligatoria, quella contro l'epatite B) e la copertura contro la
poliomielite raggiunge il 95% nel 1986.
Gli anni '90. La crescita
della popolazione rallenta (da 56.479.000 nel 1980 a 56.924.000 nel
1999). Si modifica la struttura per età della popolazione, con un peso
della componente anziana più consistente. Nel 1993 la quota dei minori
(18,3%) è equivalente a quella dei 65enni e oltre (18,2%). Si registra
il primo significativo incremento dei cittadini stranieri. Al censimento
del 1981 erano 210.937, nel 1991 356.159, nel 2001 se ne conteranno
1.334.889. Boom della spesa privata delle famiglie per la salute: +146%
in termini reali tra il 1990 e il 2000. Gli italiani pagano sempre più
di tasca propria, rivendicando il diritto di scelta. Le indagini del
Censis mettono in luce che, se nel 1987 il 50,2% della popolazione
riteneva che le abitudini e gli stili di vita giocano un ruolo decisivo
nel favorire la buona salute, nel 1998 tale quota sale al 62,7%. Grossi
passi avanti della ricerca farmaceutica, soprattutto nel campo
dell'oncologia e nella diminuzione della mortalità per Aids. Tra le
strategie di prevenzione adottate dalla popolazione c'è ora il ricorso a
specifici esami in assenza di sintomi: nel 1994 il 37,5% delle donne di
40 anni e oltre ha effettuato la mammografia, il 52,2% delle donne di
25 anni e oltre il pap-test.
Gli anni 2000. La crescita del Pil è
fortemente ridimensionata (+3,1% in termini reali tra il 2000 e il
2010). Per la prima volta il reddito netto delle famiglie registra un
andamento negativo: -0,7% nel decennio. La dimensione individuale
diventa centrale nel rapporto degli italiani con la salute. E se nel
1998 solo il 12,8% della popolazione era convinto che sulla buona salute
giocano un ruolo decisivo anche le condizioni dell'ambiente, nel 2008
la percentuale sale al 22,2%. Nella fase di accelerazione del
federalismo sanitario, nel 2002 il 56,3% degli italiani è favorevole
all'attribuzione alle Regioni della totale responsabilità in materia
sanitaria. Le coperture vaccinali obbligatorie per i nuovi nati superano
il 96%.
Gli anni 2009-2016. La popolazione di 65 anni e oltre
continua ad aumentare e raggiunge il 22% nel 2015. Nel rapporto con
l'informazione sanitaria, l'accesso facile e immediato al web
contribuisce ad aumentare l'incertezza. Nel 2014 il 54,5% della
popolazione ritiene che troppe informazioni sulla salute creano
confusione. Tra gli italiani è sempre più diffusa la percezione che
nella propria regione si vada riducendo la qualità dell'assistenza
sanitaria: il 49,2% giudica inadeguati i servizi sanitari (al Sud si
arriva al 72,2%). Aumenta l'attenzione femminile per gli esami di
screening e i controlli preventivi: nel 2013 il 67,4% delle donne di 40
anni e oltre si è sottoposto alla mammografia e il 73,4% di quelle con
25 anni e oltre al pap-test. Rimangono comunque accentuate le differenze
territoriali: al Sud si scende, rispettivamente, al 52,1% e al 58,4%.
Si scoprono nuovi farmaci che rivoluzionano le cure, come nel caso
dell'epatite C. Altri sono in arrivo, come gli anticorpi monoclonali per
combattere tumori e malattie neurodegenerative. L'Italia è al primo
posto per farmaci per terapie avanzate: 3 dei 6 approvati in Europa sono
stati sviluppati nel nostro Paese. Ma una grande discontinuità riguarda
la prevenzione. Nel 2014 la soglia minima di copertura al 95%, in grado
di assicurare l'«immunità di gregge», non è stata raggiunta per la
maggior parte delle vaccinazioni dell'età pediatrica.