Deegi, la piccola contorsionista della Mongolia.
Quattro ragazzi di altrettante parti del mondo, con i loro sogni e le loro speranze: la voglia di coltivare le loro passioni, di emergere, di affrancarsi dalla condizione della propria famiglia. Per tutti, un “grande giorno”, quello che decreterà il loro destino. Il film documentario Vado a scuola: il grande giorno, del regista francese Pascal Plisson, che esce nelle sale il 13 ottobre, come già il precedente Vado a scuola (vincitore del premio Cesar come milgior documentario), segue in parallelo le vicende di quattro ragazzi di diverse età. Se nel primo film si raccontava il difficile viaggio che in zone impervie i ragazzi devono compiere per raggiungere la loro scuola, qui si mette in scena un appuntamento cruciale nel percorso scolastico dei ragazzi, lo snodo che cambierà le loro vite. Si parte da Albert, 11 anni, che vive a Cuba con la mamma, poiché i genitori sono separati. Il suo rendimento scolastico è migliorato e quindi può riprendere a praticare la boxe. A suo fianco, l’amico Roberto, che lo incita e che si crede il suo allenatore. Il vero allenatore gli comunica che lo ha iscritto alla selezione per entrare nella prestigiosa Accademia dove continuerà a studiare e ad allenarsi. Lo aspetta l’incontro di boxe decisivo per il suo futuro. Deegi ha 11 anni e vive ad Ulan Bator, la capitale della Mongolia. Si allena come contorsionista e ambisce a entrare nella scuola di circo di Singapore. Si prepara all’audizione, e sa che deve lavorare duramente per essere impeccabile nell’esecuzione dei complessi esercizi. Tom è ugandese, ha 19 anni, e frequenta lontano da casa una scuola per diventare ranger. Deve studiare molto animali e pianti dei parchi naturali, perché lo aspetta un severo esame di diploma. E infine Nidhi, 16 anni, che vive a Benares, in India, con la sua umile famiglia, ama la matematica e fa domanda per essere ammessa al Super 30, un corso che prepara a entrare al politecnico. I candidati sono tantissimi, 10.000, ma solo pochi riusciranno a passare, Nidhi sarà una di questi.
La narrazione semplice e lineare, eppure così limpida, che passa da un episodio all’altro, presentandoci prima uno spaccato della vita quotidiana dei ragazzi, poi il delinearsi del loro progetto di vita, e infine il momento cruciale dell’esame. È un mondo colorato quello che ci rimandano le immagini del film (con scenari mozzafiato soprattutto in Africa), con tinte accese così come lo sono le espressioni dei volti di attori improvvisati, perché si tratta dei ragazzi stessi e delle loro famiglie che si mettono in scena con naturalezza.
Ha dichiarato il regista: «Questi ragazzi mi insegnano l’umiltà, il rispetto, mi comunicano un messaggio forte sulla responsabilità, sulla capacità di mettersi in gioco. Mi commuovono, fanno dei grandi sforzi ma sorridono sempre. Sono autentici, fieri, profondamente veri. Non hanno quasi niente e danno tutto in cambio, senza mai lamentarsi anche quando la vita è dura. Dovrebbero essere un esempio per tutti».