È digeribile, ricco di sali minerali, proteine, vitamine idrosolubili e dei preziosissimi Omega3, acidi grassi polinsaturi benefici per cuore e cervello. Per le sue tante virtù il pesce andrebbe mangiato due-tre volte a settimana, eppure il suo consumo in Italia è in calo da diversi anni. Fra i motivi, fotografati in un’indagine Ismea di qualche anno fa, sono emersi il prezzo elevato, il tempo necessario per cucinarlo e la difficoltà di comprensione e interpretazione delle informazioni esposte, specie sul pesce fresco, che, a livello emotivo, creano dubbi sulla sicurezza sanitaria dei prodotti. Si tratta di dubbi fondati? E come orientarci per scegliere al meglio?
L’abbiamo chiesto alla dottoressa Valentina Tepedino, veterinaria e direttrice di Eurofishmarket, società specializzata nella consulenza, formazione, informazione e promozione nel settore ittico (www.eurofishmarket.it).
«L’ultimo aggiornamento a livello europeo che riguarda i prodotti ittici è il Regolamento 1379/2013, in applicazione dal dicembre 2014, che ha inserito l’obbligo di nuove e più complete informazioni in etichetta. Oggi, dunque, i consumatori dispongono di molti più elementi per scegliere in modo consapevole». Un po’ di confusione, tuttavia, rimane: per esempio il luogo di pesca è solitamente indicato con un numero, il codice della zona Fao, non proprio d’immediata comprensione per i non addetti ai lavori. Sui prodotti ittici trasformati, come per esempio i bastoncini, l’origine non è neppure obbligatoria così come il nome della specie utilizzata nel caso non sia una soltanto. Non tutti i rivenditori, inoltre, sono ligi alle regole e non è raro trovare, sul banco di mercati e pescherie, cartellini scritti a mano che omettono dettagli importanti, come il nome completo della specie (che a seconda della varietà può essere più o meno pregiata). «Il nostro primo consiglio, dunque, è sempre quello di comprare da banchi che espongono correttamente l’etichetta con tutte le informazioni di legge». Afferma Tepedino.
Occorre poi tener presente che più del 70 per cento del pesce venduto nel nostro Paese è importato da tutto il mondo ma questo, secondo l’esperta, in realtà cambia poco o nulla sul fronte sicurezza: «Il pesce italiano è sicuro quanto quello di importazione, considerando che tutto il prodotto ittico in commercio deve rispondere agli stessi requisiti igienico sanitari e di etichettatura previsti dalla normativa europea. Non ci sono origini più sicure, ma aziende più o meno serie e controlli più o meno efficienti. Bisogna dire, però, che la produzione e trasformazione all’interno della propria nazione consente una maggiore velocità e facilità di controllo, e dunque quando possibile, anche per sostenerla sarebbe meglio acquistare prodotti nazionali».
In Italia produciamo pesce pescato e d’allevamento in percentuale quasi uguale. «Quello di allevamento presenta il vantaggio di essere completamente tracciabile dalla nascita alla macellazione. Si conoscono i riproduttori, ciò che ha mangiato in tutta la sua vita, la qualità delle acque dove è vissuto». In acquacoltura, tuttavia, la normativa consente l’uso di antibiotici, che, come per le carni, possono arrivare sulla nostra tavola, ma l’esperta ci tranquillizza: «Per quanto riguarda trote e salmoni si è fatto un ottimo lavoro con i vaccini, specie nel Nord Europa, e soprattutto, si sta puntando ovunque sempre di più al benessere degli animali, creando condizioni perché non si ammalino o si ammalino il meno possibile. Non ultimo, si lavora con impegno per ricettazioni elettroniche utili a tenere sotto controllo la somministrazione dei farmaci nel migliore dei modi».
Un altro problema spesso messo in risalto dai media è la massiccia presenza di mercurio nel pescato, che riguarda più che altro i grossi predatori, che hanno più possibilità di accumulare questo metallo pesante. «Anche per verificare i limiti di mercurio vengono fatti controlli costanti da parte delle imprese e degli organi ufficiali, ma c’è da dire che è impossibile analizzare tutti i singoli prodotti uno per uno, e dunque il rischio zero non esiste». Chiarisce l’esperta. «La strategia più giusta da parte del consumatore è dunque quella di variare spesso la dieta, anche rispetto alla scelta delle specie ittiche, alternando per esempio al tonno o al pesce spada anche le acciughe, il nasello o altre specie di minori dimensioni».
Negli ultimi anni, per questione di tempo o di moda, molti italiani il pesce lo mangiano per lo più al ristorante, e preferibilmente crudo. «L’abitudine è molto diffusa, anche a causa dei prezzi sempre più bassi. Sappiamo però che i prodotti ittici crudi sono potenzialmente più a rischio di quelli cotti poiché il trattamento termico previene tutta una serie di potenziali rischi soprattutto microbiologici e da parassiti», ricorda Tepedino. «Anche nel circuito della ristorazione ci sono regole ben precise e controlli ufficiali. In ogni caso, per essere maggiormente tutelati consiglio di fare attenzione all’igiene del locale. Attenzione anche al prezzo delle portate… se è troppo basso occorre domandarsi perché»!
È invece più difficile tutelarsi dalle frodi alimentari, che, sui prodotti ittici, riguardano per lo più la vendita di pesce meno pregiato spacciato per un prodotto di qualità superiore. «In pratica il consumatore spende per un alimento che non corrisponde a quello desiderato. Per fare qualche esempio, può capitare di acquistare prodotti decongelati per freschi, additivati per naturali, prodotti cui vengono aggiunte sostanze non ammesse, con una glassatura o un contenuto di acqua aggiunta maggiori di quanto dichiarato».
Cosa possiamo fare, in definitiva, noi consumatori? Pretendere tutte le informazioni obbligatorie per legge, scegliere rivenditori di fiducia, leggere bene le etichette, che, solitamente, più sono dettagliate più assicurano prodotti di qualità. E mettere il pesce in tavola qualche volta di più, seguendo sempre la regola d’oro di una dieta sana e variata.
LE INFORMAZIONI OBBLIGATORIE
Secondo l’ultima normativa europea l’etichetta deve riportare:
1. DENOMINAZIONE SCIENTIFICA DELLA SPECIE ITTICA
2. DENOMINAZIONE IN LINGUA ITALIANA
3. ORIGINE DEL PRODOTTO. È il luogo di pesca, indicato dal codice Fao. Se il prodotto deriva da acquacoltura va segnalato il Paese dove è avvenuto l’allevamento.
4. METODO DI PRODUZIONE (PESCA O ALLEVAMENTO)
5. CATEGORIA DI ATTREZZO DI PESCA
6. SE CI SONO INGREDIENTI COME ADDITIVI (ad esempio, l’acido citrico).
7. STATO FISICO DEL PRODOTTO (fresco, decongelato, congelato).
8. PER IL PESCE CONGELATO LA PERCENTUALE DI GLASSATURA (lo strato di ghiaccio protettivo applicato alla superficie).
Il pesce etichettato come biologico deve rispondere a particolari requisiti, in osservanza alle normative europee, che prevedono, per esempio, sistemi di allevamento a bassa intensità, alimentazione con mangimi certificati a base di materie prime da agricoltura biologica, controlli su metalli pesanti, pesticidi e inquinanti, e vietano l’uso di antibiotici preventivi, sostanze chimiche e ormoni di sintesi.