Come risalire una scala mobile che va in discesa. Questa è l’immagine usata dal demografo Alessandro Rosina che rende bene l’idea della fatica che attende il nostro Paese se davvero decidesse di contrastare il declino delle nascite in Italia.
Tutti concordano sul fatto che, se non ci si vuole arrendere all’inverno, o l’inferno demografico, ci si debba attivare oggi, prima che sia troppo tardi. Ma per fare cosa e con che strumenti? Il libro dei giornalisti Luca Cifoni e Diodato Pirone, “La trappola delle culle. Perché non fare figli è un problema per l’Italia e come uscirne, (Rubbettino), indica “nove azioni per tornare a galla” e un obiettivo concreto, verificabile, da prefissarsi da subito: raggiungere nuovamente quota 500 mila nascite all’anno entro una data certa. Vogliamo dire entro il 2070? Ricordiamoci che nel 2022 i nati sono scesi, per la prima volta dall’unità d’Italia, sotto la soglia delle 400mila unità, attestandosi a 393mila.
Quali sono queste nove “leve” suggerite dagli autori?
-Costruire un linguaggio comune per parlare di natalità in modo adeguato. Un linguaggio che non sia né di destra, né di sinistra, ma laico, non inquinato da retaggi ideologici e luoghi comuni, che rifugga cioè dalle vecchie retoriche nataliste, che evocano il Ventennio, o da infelici campagne di comunicazione come quella del “Fertility Day” del 2016.
-Per dirla come gli psicologi, cambiare il “mondo interno”. Cioè tornare a raccontare, nelle relazioni private e nel dialogo tra madre e padre a figlio e figlia, ma anche in altri ambiti, il piacere della maternità e della paternità. Insomma tornare a garantire “il passaggio di testimone” come lo chiama la psicologa Silvia Vegetti Finzi, perché “il desiderio di un figlio se non è condiviso e rappresentato, si spegne”.
- Soldi alle famiglie: tanti, facili e subito. Evitare gli errori del passato quando si sono succeduti a ogni nuovo governo nuove misure e svariati “bonus bebè, mamma, pro-natalità, assegni, ecc., spesso una-tantum, tutti “spediti direttamente nella clandestinità”. L’aiuto deve essere invece stabile, cioè permanente. In questo senso il passaggio all’Assegno Unico e Universale attuato dallex-ministra Elena Bonetti, va in questa direzione. Ma va semplificato e soprattutto potenziato nella cifra.
-Basta col precariato: genitori cercasi, ma “a tempo indeterminato”. Si deve cioè favorire in ogni modo possibile l’occupazione stabile dei giovani, colpiti ormai da decenni da dosi massicce di lavoro flessibile.
-Assumere più donne per avere più figli. Smentire, cioè, una volta per tutte l’erronea equazione: più casalinghe, più mamme. E’ vero l’esatto contrario: più donne al lavoro significa anche più figli. E per incentivare il lavoro femminile servono anche servizi specifici, ad iniziare dagli asili nido.
-Serve la parità. In maternità mandiamoci gli uomini. Le leggi sul congedo di maternità e paternità, che ci sono, da sole non bastano. E’ un passaggio culturale decisivo: si deve abbattere l’asimmetria tutta italiana che vuole solo le donne dentro le mura domestiche a seguire i figli. Obbligare i neo-padri a stare a casa per incidere positivamente sulla natalità? La risposta è “sì”.
-Istituire in azienda un "bollino blu" per papà e mamme felici. Cioè creare strumenti per la conciliazione la cura dei figli con la buona occupazione, e certificare le aziende che li adottano, com’è il Family Audit, marchio registrato dalla Provincia Autonoma di Trento.
-Programmare l’immigrazione, favorendo in ogni modo i canali legali d’ingresso. Cioè l’esatto contrario di quanto sta accadendo da anni in Italia. L’ultimo documento programmatico approvato relativo alla politica dell’immigrazione e degli stranieri risale al triennio 2004-2006.
-Favorire le adozioni e la procreazione assistita. Si tratta di una opzione che ha a che fare anzitutto con i diritti e ha risvolti etici importanti, ma non può essere più disattesa.