Cara amica, la morte fa paura a tutti, tant’è vero che nella nostra società molti cercano di far finta che non esista, illudendosi in un’impossibile eterna giovinezza. Eppure questo tema riaffiora continuamente. Magari attraverso le lacrime di un bambino, come è avvenuto durante la visita di papa Francesco nella parrocchia romana di San Paolo della Croce al Corviale. Il piccolo Emanuele ha chiesto se il suo papà, morto da poco, adesso era in cielo, visto che pur essendo un uomo bravo, che ha fatto battezzare i suoi figli, era ateo (si veda il commento di don Pino Lorizio; il testo integrale è sul sito famigliacristiana.it). La risposta di Francesco, condivisa con i bambini presenti e con i fedeli, è che Dio ha un cuore di papà, egli non abbandona i suoi figli, specialmente se sono bravi. «Dio sicuramente era fiero di tuo papà», ha concluso il Papa rivolgendosi a Emanuele, «perché è più facile, essendo credente, battezzare i figli, che battezzarli essendo non credente. Sicuramente questo a Dio è piaciuto tanto. Parla con tuo papà, prega tuo papà».
Vengo ora alle tue domande, invitandoti prima di tutto ad avere sempre fiducia in Dio, che è davvero come un papà che ci vuole bene. È la nostra fede che ce lo conferma. Sono tanti i passi della Bibbia che ci invitano a confidare nella misericordia del Padre, nonostante i peccati che possiamo aver commesso. Ricordo solo alcuni testi di san Giovanni. Gesù ha detto: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Giovanni 3,16-17). Nella sua prima lettera leggiamo invece questa straordinaria definizione: «Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (4,16). Ma prima c’è quest’altra definizione di Dio, di grande consolazione: «Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa» (3,20). Per capirne il senso bisogna leggere i versetti precedenti: l’apostolo ci invita ad amare tutti, non con la lingua, ma «con i fatti e nella verità». Questo rassicurerà il nostro cuore, «qualunque cosa esso ci rimproveri». Un’espressione simile si trova nella prima lettera di Pietro: «Conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati» (4,8).
Come si può convivere, allora, con l’idea della morte? Pensando che la vera morte non è la fine della nostra vita biologica, ma non amare nessuno. La morte fisica è solo un passaggio che Gesù risorto ha aperto a tutti noi verso la vita piena, che è la comunione d’amore con Dio. Ma questa vita vera e piena inizia fin d’ora quando amiamo i fratelli. Lo spiega bene ancora san Giovanni nella sua prima lettera: «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli» (3,14).
Per comprendere questo e capire perché a noi cristiani la morte non deve più far paura, possiamo rileggere quello che Gesù afferma rispondendo a Marta che piange la morte del fratello Lazzaro. «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno» (11,25-26). Gesù dichiara di essere fin d’ora la risurrezione e la vita. Non la vita biologica, ma la vita divina, la vita stessa di Dio, l’amore che unisce il Padre e il Figlio, cioè lo Spirito Santo. Questa vita ci viene data nel Battesimo e nella Cresima con il dono dello Spirito Santo, che è l’amore di Dio riversato nei nostri cuori (Romani 5,5). Chi crede in Gesù ha già il dono della vita eterna, della vita divina. Credere, infatti, non è prima di tutto riconoscere qualche verità o principio, ma accogliere l’amore di Dio nella nostra vita, lasciarci trasformare da Cristo comportandoci come lui si è comportato, vivere da risorti. «Chiunque vive e crede in me», dice Gesù, «non morirà in eterno» cioè non morirà mai perché per lui la morte fisica non sarà la fine di tutto, ma un passaggio che gli permetterà di aprire gli occhi su ciò che è già in lui, cioè la vita di Dio, l’amore del Padre e del Figlio. Dobbiamo solo credere in Gesù, fidarci di lui, accogliere il suo amore e a nostra volta voler bene a tutti. Allora la fine della nostra vita terrena non sarà più motivo di angoscia.
Ma ritroveremo i nostri cari? La morte terrena, pur essendo un semplice passaggio, è anche una separazione fisica dai nostri cari. Ci tocca nel profondo, stringendoci con un nodo alla gola e colmando i nostri occhi di lacrime. Pensiamo al pianto dello stesso Gesù alla morte dell’amico Lazzaro. Eppure la fede può consolarci. Come ha detto in un’udienza papa Francesco, «in questa fede possiamo consolarci l’un l’altro, sapendo che il Signore ha vinto la morte una volta per tutte. I nostri cari non sono scomparsi nel buio del nulla: la speranza ci assicura che essi sono nelle mani buone e forti di Dio. L’amore è più forte della morte. Per questo la strada è far crescere l’amore, renderlo più solido, e l’amore ci custodirà fino al giorno in cui ogni lacrima sarà asciugata, quando “non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno” (Apocalisse 21,4)». È davvero bella questa frase: «I nostri cari non sono scomparsi nel buio del nulla». Sono, anzi, vicino a noi, ci accompagnano come angeli pieni di benevolenza e ci invitano a non avere paura, a fidarci del Signore, a credere che l’amore è più forte della morte, a rendere più solido il nostro amore verso tutti. Amore che viene da Dio e che fin d’ora ci può far pregustare un assaggio di paradiso.
Concludo segnalandoti alcuni testi utili tra quelli disponibili presso le Edizioni San Paolo: La grazia di rialzarsi di Arianna Prevedello; Sul dolore di Paolo Curtaz; Così è la vita di Francesco Scanziani; Trauma, abuso e violenza di Antonio Onofri e Cecilia La Rosa.