Come si riconosce un bravo insegnante? La domanda ritorna galla ogni volta che si tratta di quantificare il merito. Sembra facile, ognuno di noi, probabilmente, guardando indietro ne ha almeno uno da ringraziare. La questione è diventata più spinosa che in passato dal 2015 quando la legge 107, nota ai media come la "buona scuola", ha istituito un bonus economico per gli insegnanti meritevoli.
Ma un conto è, dopo anni di condivisione in classe e con la consapevolezza acquisita da adulti, dirsi certi che, sì, quelli che sentiamo di dover ringraziare erano inequivocabilmente bravi insegnanti. Altro è mettersi nei panni del Comitato di valutazione interno alla scuola (composto di docenti, rappresentanti di alunni/genitori e dirigente, un componente esterno individuato dall’ufficio scolastico regionale) che deve individuare dei criteri sufficientemente oggettivi per dare ai meritevoli un bonus una tantum in busta paga.
La legge individua criteri molto generici e aperti, massimi sistemi che ogni scuola deve poi declinare in base alle proprie caratteristiche: «Il Comitato» si legge nel testo della 107 «individua i criteri per la valorizzazione dei docenti sulla base: a) della qualità dell'insegnamento e del contributo al miglioramento dell'istituzione scolastica, nonché del successo formativo e scolastico degli studenti; b) dei risultati ottenuti dal docente o dal gruppo di docenti in relazione al potenziamento delle competenze degli alunni e dell'innovazione didattica e metodologica, nonché della collaborazione alla ricerca didattica, alla documentazione e alla diffusione di buone pratiche didattiche; c) delle responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico e nella formazione del personale».
È uno dei grandi nodi della "buona scuola", che da un lato ha previsto la valorizzazione del merito, da molte parti invocata, dall’altro ha lasciato alle scuole la patata bollente della responsabilità di individuarlo, normarlo e premiarlo, anche se quest’anno, per la prima volta, il nuovo contratto, firmato nel febbraio scorso, prevede che non i criteri ma i compensi siano oggetto di contrattazione sindacale.
I nodi centrali sono sempre i medesimi: il rischio di una significativa discrezionalità (e relativa responsabilità) affidata al dirigente, dato che spetta lui a mettere l’ultima parola sui nomi dei meritevoli cui assegnare il bonus; la difficoltà oggettiva di stabilire criteri verificabili, trasparenti, attendibili e la complicazione di dare omogeneità e verificabilità a meccanismi che possono variare anche molto da istituto a istituto.
A giudicare dal dibattito interno al mondo della scuola, e dalle lettere che arrivano alle riviste dedicate – l’ultima oggi a Orizzonte scuola - , la preoccupazione principale è che il premio, al di là delle intenzioni della legge, vada nella pratica a premiare in prevalenza i docenti che si impegnano in progetti e attività “quantificabili” che risultino in qualche modo appariscenti fuori dall’aula, rischiando, invece, di trascurare chi riesce bene nell’arte di insegnare, a contatto con gli alunni, nel chiuso dell'aula: quel lavoro complicato ma poco vistoso, che, da sempre, è l’essenza del mestiere.