Comunque sia andata è una tristissima storia. Persino peggio di quattro anni fa, con Alex Schwazer campione olimpico di Pechino 2008 che, pescato positivo, ammetteva il doping alla vigilia di Londra 2012. Siamo alla vigilia di Rio 2016 e, a quel che se ne sa, ci risiamo. Allora era Epo ora uno steroide sintetico. Allora le lacrime, ora la rivendicazione dell'innocenza. Ma stavolta è più dura. Perché gli argomenti del figliol prodigo recuperato ci avevano (a poco a poco) convinto.
Dopo una faticosa battaglia contro la diffidenza, per altro rimasta largamente diffusa nell’ambiente dell’atletica, avevamo cominciato a credere che sarebbe stato troppo stupido o troppo diabolico ricascarci, dopo che si sapeva di essere i più controllati al mondo, dopo aver collaborato con la giustizia penale e sportiva tirando dentro altri e tirandosi addosso il mondo, dopo che Sandro Donati ci aveva messo la credibilità di trent’anni di vita contro il doping, dopo che Libera ci aveva messo la faccia, accreditando un’operazione trasparenza.
Alex controllatissimo e fin qui pulito, tornava e vinceva subito tanto da accreditarsi come uno degli uomini dell’atletica in predicato di podio a Rio. Stavamo raccontando la storia di un atleta recuperato, anche se gli scettici intorno erano ancora tanti: avversari, cronisti. Ma in fondo, l’avevamo scritto più volte, razionalmente si potevano capire con la naturale diffidenza che suscita uno che bara e poi rientra, di più uno che in un ambiente chiuso non ci sta a prendersi il cerino del mariuolo e accetta di collaborare. Anche in ambito penale, il dibattito sui cosiddetti “pentiti” ha avuto una lunga gestazione prima di trovare un equilibrio nelle norme e nella prassi. Schwazer e Donati dicevano di spiegarsi l’ostilità attorno con il timore diffuso che il loro “esperimento” di trasparenza potesse indurre a estendere a tutti i controlli a sorpresa senza indicazione della finestra oraria.
Abbiamo ripetuto, e questo siamo disposti a ribadirlo, che nel doping come nella corruzione del resto il contrasto non può che passare per la rottura del patto del silenzio che rende conveniente al sistema tacere.
Ma oggi è difficile tutto. Perché questo castello logico ora si inceppa sull'esito di un controllo antidoping in merito a un campione d'urina del primo di gennaio, rianalizzato il 12 maggio, negativo la prima volta e positivo la seconda: il bisogno della replica con strumenti più sofisticati -secondo le ricostruzioni -, si spiegherebbe con il bisogno di monitorare il dato in relazione al profilo personale dell’atleta registrato nel passaporto steroideo. In sostanza si sarebbe visto che un dato confrontato con altri meritava un approfondimento e lo si sarebbe visto dopo, perché ci sarebbe stato bisogno di confrontarlo con i dati emersi dai controlli successivi: in questo modo si spiegherebbe la decisione di ricontrollare il 12 maggio, dopo il rientro vincente di Schwazer in Coppa del mondo, un campione di urina del primo di gennaio e proprio quello.
Si torna da capo. La medaglia, perduta, ha due facce. La prima è quella di Alex, Donati e del loro staff che non mettono il discussione il test, nel senso che non adombrano errori di laboratorio, ma che non nascondono, in conferenza stampa, di sospettare un trappolone, anche se di complotto non parlano: Donati si ritiene possibile bersaglio di una «vendetta», Alex dice: «Non mi vogliono a Rio». L’avvocato ribadisce: «Alex non ha colpe stavolta». «Che convenienza ne avremmo avuto?», ripetono tutti. Se fosse come dicono, paradossalmente, sarebbe peggio che farsi una ragione dell’ennesima caduta (per somma stupidità o per somma malafede) e della propria dabbenaggine: vorrebbe dire che il sistema è marcio oltre l'immaginabile.
La seconda faccia è quella di chi non ha mai creduto al rientro “certificato e trasparente”, di chi ha sempre pensato solo a un’operazione di marketing per coprire la solita storia del solito che ha barato una volta e barerà per sempre. La faccia di chi forse adesso si compiace di essere stato pessimista e avere avuto ragione e di poter far notare agli ottimisti che hanno avuto torto: “Ecco avete visto?”. Se anche fosse una soddisfazione, durerebbe il tempo di ammettere che la realtà incoraggia il pessimismo. Cattiva notizia per la realtà.
Il 5 luglio ci saranno le controanalisi, serviranno a escludere che ci sia stato un errore di laboratorio. La giustizia sportiva farà il suo corso. Donati e Schwazer minacciano una denuncia penale contro ignoti. Sarebbe utile nel frattempo che l'organo che si è occupato dei controlli rendesse pubblico prima possibile il percorso che ha portato a rianalizzare lo stesso campione con due risultati diversi. Per trasparenza. Perché sia chiara la prassi, fosse anche solo per allontanare il sospetto di accanimento adombrato da Donati.
Comunque vada a finire, che la linea più breve tra due punti in questa storia sia la retta tirata dagli scettici, l’arabesco evocato dallo staff di Schwazer o una curva in mezzo, il risultato sarà una sconfitta per la credibilità dello sport. Staremo sempre di più a chiederci se chi ha vinto ha davvero vinto, perché, per quanto. Tra una bella storia e il sospetto vincerà, sempre di più, il sospetto. E nemmeno davanti a un controllo negativo potremo tirare il fiato.