Comunque vada stasera in finale, suor Cristina Scuccia ha già vinto. La giovane religiosa orsolina è stata la protagonista assoluta del talent show di Raidue The Voice of Italy. E non (solo) grazie all'abito che indossa. Suor Cristina ha già vinto perché quando canta – si tratti della cover Time of my life di Dirty Dancing, No one di Alicia Keys o una vecchia hit femminista come Girls just want to have fun – trasmette una passione vera che non è solo entusiasmo posticcio da pop star improvvisata.
Ha già vinto perché ha dimostrato di sapere far dono del suo dono, una voce bella e grintosa, senza scivolare in atteggiamenti banali o ipocriti. Ha già vinto perché ha dimostrato di saper stare sul palcoscenico con carisma e abilità.
Ha già vinto perché ha saputo coltivare il suo talento, “educandolo” con pazienza e sacrificio. Ha già vinto, infine, perché nonostante il mondo dei media, e della Tv in particolare, sia disseminato di trappole e trappoloni, in questi mesi ha conservato una grande spontaneità che l'ha fatta apprezzare al pubblico che l'ha seguita sul piccolo schermo e poi nella lunga “coda” dei social network con numeri da record.
Certo, gli autori di The Voice, intuite le sue potenzialità, hanno giustamente osato, trasformandola in una rockstar. Ma queste sono analisi che appassionano di più gli addetti ai lavori. Ciò che più conta, in quello che è stato definito il “fenomeno suor Cristina”, è l'aver dimostrato, cantando e duettando con Kylie Minogue, partecipando ad un talent show con tanto di giurati, sfide canore e televoto, che la fede, e una scelta radicale come la vocazione che ne discende, non è per gente castrata e in fuga dal mondo, né, come scrive papa Francesco nell'enciclica Lumen Fidei, «un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita». E che non c’è luogo off limits per chi vuole testimoniarla.
Se uno ha un talento perché non deve coltivarlo, correndo anche il rischio di offrirlo agli altri e scendendo nell’arena mediatica che tutto fagocita e, a volte, banalizza?
Il 21 novembre 2009, incontrando gli artisti nella Cappella Sistina, papa Benedetto XVI offrì una riflessione di grande spessore: «La fede», disse, «non toglie nulla al vostro genio, alla vostra arte, anzi li esalta e li nutre, li incoraggia a varcare la soglia e a contemplare con occhi affascinati e commossi la méta ultima e definitiva, il sole senza tramonto che illumina e fa bello il presente».
Il New York Times, che l'ha messa in prima pagina, ha scritto che il grande successo di suor Cristina sarebbe dovuto all'effetto Francesco. «Se una volta», ha scritto il quotidiano statunitense, «poteva sembrare inappropriato per una suora apparire in uno show, ora l'effusione e il sostegno del pubblico sono visti come un'ulteriore prova del cosiddetto Francis effect». In realtà, suor Cristina non è la prima, e non sarà neanche l'ultima, religiosa a esibirsi in Tv o in teatro. Accadeva in passato, accadrà anche in futuro. Perché chi decide di abbracciare la vocazione religiosa – indipendentemente dal luogo dove è chiamato a stare: un oratorio, le tante periferie disastrate del nostro tempo, Tv compresa – non ha scelto di fuggire il mondo ma di abitarlo e renderlo migliore con il proprio stile e il proprio carisma.