Le città sono custodi di memorie, anche se spesso chi ci vive lo ignora, specie i più giovani. E magari passiamo davanti a una lapide senza accorgercene, oppure calpestiamo una pietra di inciampo senza capire di che cosa si tratta. Risvegliare gli occhi alla memoria e aprire squarci di consapevolezza negli studenti milanesi è l’obiettivo del progetto “Milano, memoria in cammino” realizzato da Anpi - Associazione nazionale partigiani italiani e associazione Libera. Dopo aver individuato 11 luoghi simbolo sia della Resistenza sia della lotta alle mafie, propongono alle scuole secondarie di primo e secondo grado un ciclo di incontri gratuiti: due in classe e uno sul territorio.
In vista della Giornata della memoria abbiamo seguito la visita della classe “V R A” dell’Istituto tecnico Moreschi in due luoghi diversi della città: l’ingresso del carcere San Vittore, con le sue due pietre di inciampo e la lapide in memoria degli ebrei deportati, e il giardino di via Montello intitolato a Lea Garofalo, vittima della ’ndrangheta, uccisa proprio a Milano. A fare da guida agli studenti, accompagnati dalla professoressa di Diritto Paola Graziano, Roberto Cenati, presidente provinciale dell’Anpi, e Licia Cavazzoni, volontaria di Libera.
«Siamo abituati a pensare al carcere come a un luogo in cui si viene rinchiusi perché si è infranta la legge», racconta ai ragazzi Cenati. «Invece durante la Seconda guerra qui ci finivano dissidenti politici, operai che scioperavano e anche persone, donne, vecchi e bambini che, come ha detto Liliana Segre, avevano una sola colpa, quella di essere nati: gli ebrei».
Liliana Segre e il padre erano tra quei 604 ebrei che furono rinchiusi nel V raggio di San Vittore, tenuti in isolamento, senz’aria, senza cibo, percossi, svegliati nel cuore della notte. E poi partirono dal famigerato Binario 21 della Stazione Centrale con destinazione Auschwitz. Alla fine della guerra solo dieci di loro, tra cui Liliana, tornarono a casa. Proprio il 31 gennaio di quest’anno ricorrono gli 80 anni da quella infame deportazione.
«Ma anche in momenti così terribili», continua a spiegare Roberto Cenati, «c’erano cittadini che non si resero complici, anche solo con il silenzio, di quella barbarie. C’erano medici che per permettere ai detenuti di essere trasferiti in ospedale, e quindi sottratti ai maltrattamenti e alla morte, inoculavano loro il vaccino contro il tifo così che manifestassero i sintomi della malattia, e i tedeschi, terrorizzati dal possibile contagio, li facevano portare al Niguarda. C’erano le suore che cercavano di far arrivare da fuori i messaggi dei familiari. C’erano le guardie che si muovevano a compassione trafugando del cibo dalle cucine. Fu proprio per i resti di un pollo trovati nella cella di una famiglia ebrea che l’agente di custodia Andrea Schivo fu scoperto e mandato a Flossenbürg, dove poi morì».
Ad Andrea Schivo e a Sebastiano Pieri (anch’egli una guardia che portava ai parenti i messaggi dei prigionieri nel suo berretto e per questo mandato prima a Mauthausen poi a Gusen, dove morì) sono dedicate le due pietre di inciampo che si trovano davanti all’ingresso di San Vittore. I ragazzi le guardano incuriositi, e alcuni ricordano di aver visto pietre simili in altre parti della città. Sono infatti ben 171 quelle collocate a Milano. Quella di Alberto Segre (morto ad Auschwitz il 27 aprile 1944), papà di Liliana, si trova al civico 55 di corso Magenta, dove l’uomo viveva con la figlia.
I
l giorno dopo, in classe, chiediamo ai ragazzi le impressioni di queste visite: «La discriminazione esiste ancora», rivela Lucia Hu, «quante volte sono stata presa in giro per i miei occhi orientali». «Non basta parlare di quello che è accaduto nel passato», dice Sara, «ci sono ancora troppe guerre e ingiustizie, non abbiamo imparato nulla». «Ogni anno celebriamo a scuola la Giornata della memoria», ricorda Carlo, «ma sempre più in profondità, e credo sia importante continuare a farlo».