Il discorso di Obama di ieri ha chiarito molte cose rispetto all'intervento "punitivo" contro il regime di Assad. Primo: l'esercito americano è pronto. Secondo: sarà un attacco limitato. Terzo: potrà scattare fra pochi giorni, come fra un mese.
Con una mossa inattesa, però, il presidente degli Stati Uniti ha vincolato la decisione finale al Congresso, al quale ha di fatto chiesto l'autorizzazione a procedere. Mossa inattessa e non dovuta, perché Obama non era tenuto a passare dal voto parlamentare. Quello stesso voto che ha bloccato David Cameron, privando gli Stati Uniti del loro alleato storico, l'Inghilterra.
L'Europa continua intanto a mostrare l'assenza di una politica estera comune. Se la Francia sarà al fianco degli Usa, l'Italia, attraverso le parole del presidente del Consiglio Letta, ha annunciato che senza l'avvallo delle Nazioni Unite non parteciperà.
Il mondo resta dunque con il fiato sospeso, in attesa che il Congresso americano dia il via libera all'attacco. Cosa che non avverrà prima del 9 settembre, data in cui i parlamentari torneranno al lavoro. I senatori hanno promesso il voto "non più tardi della settimana dal 9 al 15 settembre". Sono dunque questi i giorni in cui dovremo, ancora una volta, assistere a una guerra, per quanto circoscritta (nella speranza, tutt'altro che scontata, che la Regione non si infiammi) e limitata nel tempo.
Ancora una volta saranno le armi a parlare, tacerà quel dialogo come unica via di risoluzione dei conflitti auspicato da papa Francesco (vedi l'articolo sull'Angelus in cui ha parlato della Siria).
Ancora una volta l'Onu è stata bloccata dai veti. Ancora una volta l'Europa avrà perso l'occasione di diventare un attore autorevole sullo scenario internazionale. Ancora una volta, saranno i più deboli e gli innocenti a pagare, come già mostrano le disperate fughe di tante famiglie dai confini della Siria.