"V každém tvoru jiskra boží”. “In ogni essere umano, una scintilla divina”, si legge nell’epigrafe apposta da Leoš Janáček alla partitura di Da una casa di morti, l’ultimo capolavoro composto dal musicista moravo nato nel 1854 e morto nel 1928. Janacek, autore anche del libretto ispirato alle omonime memorie romanzate da Fëdor Dostoveskij, ci presenta un storia dura e corale, di prigionieri rinchiusi in un carcere. Ma Janáček non esprime giudizi sui personaggi e le loro vite sbagliate, segnate dal sangue e dalla violenza, in qualche modo li illumina con un raggio di speranza e di poesia. Non è un caso che in una tasca che Janáček indossava il giorno della sua morte, il 12 agosto 1928, fu trovato un biglietto in cui, riflettendo su Delitto e castigo, esaltava “i luoghi luminosi della casa dei morti”.
“Da una casa di morti” va in scena all’Opera di Roma dal 23 al 30 maggio, in un allestimento proposto in prima italiana e firmato dal regista polacco Krzysztof Warlikowski, Leone d’Oro della Biennale Teatro a Venezia e al suo debutto operistico nel nostro Paese. Lo spettacolo è realizzato in coproduzione con la Royal Opera House Covent Garden di Londra, il Théâtre de La Monnaie di Bruxelles e l’Opéra national de Lyon. Sul podio il giovane bielorusso Dmitry Matvienko, 32 anni, anche lui al suo debutto operistico in Italia. Matvienko nel 2021 ha vinto il Primo Premio e il Premio del Pubblico alla prestigiosa Malko Competition di Copenaghen.
L’opera, divisa in tre atti, comincia con l’arrivo nella prigione di un nuovo detenuto, Alexander Petrovič Gorjančikov, prigioniero politico. “Con il suo arrivo in carcere lo vediamo costretto a lasciare tutte le sue cose per entrare in una nuova dimensione, da uomo normale diventa un uomo colpevole”, spiega Warlikowki. Il regista aggiunge che non ha scelto un modello riconoscibile di detenzione (gulag russo, Guantanamo o altro). Tuttavia il drammaturgo francese Christian Longchamp aggiunge che nel personaggio del detenuto politico Gorjančikov possiamo riconoscere Vladimir Kara-Murza, il dissidente russo condannato il 17 aprile da un tribunale di Mosca a 25 anni da scontare in un carcere di massima sicurezza con l'accusa di "tradimento" per aver screditato le forze armate russe.
Warlikowki definisce Da una casa di morti “un’opera trasgressiva perché ci impone una una realtà dura, quella di un carcere, che non ci aspettiamo quando entriamo in un teatro per assistere a un’opera lirica”.
Il carattere corale dell’opera si coglie fin dall’inizio. Dopo la bellissima introduzione orchestrale è proprio il coro che annuncia l’arrivo del nuovo prigioniero e sarà sempre il coro a dire l’ultima parola alla fine dell’opera, quando i forzati gridano “Svoboda, svobodička!” (Libertà, libertà).
Warlikowki ha scelto di far accompagnare l’introduzione orchestrale dalle immagini mute e sottotitolate del filosofo francese Michel Foucault, che riflette sul sistema cercerari, tema a lui caro, analizzato in un saggio pubblicato nel 1975: “Sorvegliare e punire. Nascita della prigione” (pubblicato in Italia da Einaudi).
Matvienko dirigerà una partitura basata su un’edizione critica del 2017 curata dal musicologo britannico John Tyrrell e da Charles Mackerras, il direttore d’orchestra e compositore australiano che negli anni ’80 del Novecento, con le sue incisioni per la Decca, ha contributo alla riscoperta di Janáček. “Sarà una partitura ripulita da incrostazioni e integrazioni, con l’obiettivo di avvicinarci il più possibile alle intenzioni del compositore”, dice Matvienko. Il direttore aggiunge che nel secondo atto, nel quale i prigionieri mettono in scena uno spettacolo, Janáček lascia ampia libertà nella scelta degli strumenti a percussione. “Perciò”, racconta il maestro bielorusso, “abbiamo scelto di utilizzare per le percussioni oggetti simili a quelli che potrebbero fabbricare dei detenuti. Al posto dei piatti tradizionali useremo coperchi di pentole, così da riprodurre i suoni più plausibili all’interno di un campo di prigionia”.
Accanto a Warlikowski e Matvienko, si esibisce un cast internazionale che vede in primo piano il basso-baritono statunitense Mark S. Doss – che torna a Roma dopo The Bassarids di Hans Werner Henze del 2014 – nel ruolo di Alexandr Petrovič Gorjančikov e il tenore Pascal Charbonneau nelle vesti del giovane tartaro Aljeja. Tra i tenori anche Štefan Margita (Filka Morozov), Erin Caves (Il grande prigioniero), Julian Hubbard (Skuratov), Marcello Nardis (Kedril), Pawel Żak (Il giovane prigioniero), Michael J. Scott (Šapkin), Christopher Lemmings (Čerevin) e Colin Judson (Il vecchio prigioniero), i baritoni sono Lukáš Zeman (Il piccolo prigioniero Nikita/Čekunov/Cuoco), Aleš Jenis (Il fabbro/Un prigioniero) e Leigh Melrose (Šiškov), il basso è Clive Bayley (Il direttore della prigione). Completano il cast Eduardo Niave (il prigioniero ubriaco), talento di “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma, Carolyn Sproule, unica voce femminile nel ruolo della prostituta, Maestro del coro è Ciro Visco. In linea con la produzione della Royal Opera House di Londra del 2018, la drammaturgia è a cura di Christian Longchamp e le scene e i costumi sono di Małgorzata Szczęśniak. Alle luci Felice Ross e ai video Denis Guéguin. I movimenti coreografici sono di Claude Bardouil.
Come ha spiegato il sovrintendente Francesco Giambrone, Da una casa di morti è il secondo tassello di un progetto triennale dell’Opera di Roma dedicato a Los Janáček, inaugurato con la Káťa Kabanová (uno dei grandi successi della stagione 2021/2022) e che si concluderà nel maggio del 2024 con la rappresentazione di Jenůfa. Ma chissà che in futuro, nella programmazione del Costanzi, non si trovi spazio per altri capolavori di Janacek, come L’affare Makropulos e La piccola volpe astuta (che proprio Giambrone, quando era sovrintendente del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, scelse come titolo inaugurale della stagione 2009-2010).