Ad un certo punto, tra gli abiti rossi dei neo-cardinali [ecco chi sono] spicca il cappuccio di un saio marrone. È quello di padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia dal 1980, che ha chiesto la dispensa dall’ordinazione episcopale («voglio morire con l’abito francescano») ed è stato creato cardinale sabato pomeriggio nel Concistoro, il settimo del pontificato, presieduto da papa Francesco all’Altare della Cattedra della Basilica di San Pietro.
«Cari Fratelli», dice il Papa nell’omelia, «tutti noi vogliamo bene a Gesù, tutti vogliamo seguirlo, ma dobbiamo essere sempre vigilanti per rimanere sulla sua strada. Perché con i piedi, con il corpo possiamo essere con Lui, ma il nostro cuore può essere lontano, e portarci “fuori strada”. Pensiamo a tanti generi di corruzione nella vita sacerdotale. Così, ad esempio, il rosso porpora dell'abito cardinalizio, che è il colore del sangue, può diventare, per lo spirito mondano, quello di un’eminente distinzione. E tu non sarai più il pastore, vicino al popolo: sentirai solo di essere un'eminenza. Quando tu sentirai quello, sentirai di essere fuori strada».
La riflessione del Pontefice è tutta incentrata sulla metafora della strada che è «l’ambiente», sottolinea, «in cui si svolge la scena descritta dall’evangelista Marco. Ed è l’ambiente in cui sempre si svolge il cammino della Chiesa: la strada della vita, della storia, che è storia di salvezza nella misura in cui è fatta con Cristo, orientata al suo Mistero pasquale. Gerusalemme è sempre davanti a noi. La Croce e la Risurrezione appartengono alla nostra storia, sono il nostro oggi, ma sono sempre anche la meta del nostro cammino. Questa Parola evangelica ha accompagnato spesso i Concistori per la creazione di nuovi Cardinali. Non è solo uno “sfondo”, è una “indicazione di percorso” per noi che, oggi, siamo in cammino insieme con Gesù, che procede sulla strada davanti a noi. Lui è la forza e il senso della nostra vita e del nostro ministero».
Francesco ricorda che l’evangelista «Marco mette in risalto che, lungo la strada, i discepoli «erano sgomenti erano impauriti. Perché? Perché sapevano quello che li attendeva a Gerusalemme; Gesù ne aveva già parlato a loro più volte apertamente. Il Signore conosce lo stato d’animo di quelli che lo seguono, e questo non lo lascia indifferente. Gesù non abbandona mai i suoi amici; non li trascura mai. Anche quando sembra che vada dritto per la sua strada, Lui sempre lo fa per noi. Tutto quello che fa, lo fa per noi, per la nostra salvezza. E, nel caso specifico dei Dodici, lo fa per prepararli alla prova, perché possano essere con Lui, adesso, e soprattutto dopo, quando Lui non sarà più in mezzo a loro. Perché siano sempre con Lui sulla sua strada.»
Per questo, prosegue, «Sapendo che il cuore dei discepoli è turbato, Gesù chiama i Dodici in disparte e, “di nuovo”, dice loro “quello che stava per accadergli”. Lo abbiamo ascoltato: è il terzo annuncio della sua passione, morte e risurrezione. Questa è la strada del Figlio di Dio. La strada del Servo del Signore. Gesù si identifica con questa strada, al punto che Lui stesso è questa strada. “Io sono la via” (Gv 14,6). Questa via, non un’altra. E a questo punto succede il “colpo di scena”, che smuove la situazione e consentirà a Gesù di rivelare a Giacomo e Giovanni – ma in realtà a tutti gli Apostoli – il destino che li attende».

Francesco invita ad immaginare la scena: «Gesù, dopo aver nuovamente spiegato ciò che gli deve accadere a Gerusalemme, guarda bene in faccia i Dodici, li fissa negli occhi, come a dire: “È chiaro?”. Poi riprende il cammino, in testa al gruppo. E dal gruppo si staccano due, Giacomo e Giovanni. Si avvicinano a Gesù e gli esprimono il loro desiderio: “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. Questa è un’altra strada. Non è la strada di Gesù, è un’altra. È la strada di chi, magari senza nemmeno rendersene conto, “usa” il Signore per promuovere sé stesso; di chi – come dice San Paolo – cerca i propri interessi e non quelli di Cristo».
Gesù, continua Bergoglio, «dopo aver ascoltato Giacomo e Giovanni, non si altera, non si arrabbia. La sua pazienza è davvero infinita. E risponde: “Voi non sapete quello che chiedete”. Li scusa, in un certo senso, ma contemporaneamente li accusa: “Voi non vi rendete conto che siete fuori strada”. In effetti, subito dopo saranno gli altri dieci apostoli a dimostrare, con la loro reazione sdegnata verso i figli di Zebedeo, quanto tutti fossero tentati di andare fuori strada. In questo racconto evangelico, ciò che sempre colpisce è il netto contrasto tra Gesù e i discepoli. Gesù lo sa, lo conosce, e lo sopporta. Ma il contrasto rimane: Lui sulla strada, loro fuori strada. Due percorsi inconciliabili. Solo il Signore, in realtà, può salvare i suoi amici sbandati e a rischio di perdersi, solo la sua Croce e la sua Risurrezione. Per loro, oltre che per tutti, Lui sale a Gerusalemme. Per loro, e per tutti, spezzerà il suo corpo e verserà il suo sangue. Per loro, e per tutti, risorgerà dai morti, e col dono dello Spirito li perdonerà e li trasformerà. Li metterà finalmente in cammino sulla sua strada. San Marco – come pure Matteo e Luca – ha inserito questo racconto nel suo Vangelo perché è una Parola che salva, necessaria alla Chiesa di tutti i tempi. Anche se i Dodici vi fanno una brutta figura, questo testo è entrato nel Canone perché mostra la verità su Gesù e su di noi. È una Parola salutare anche per noi oggi. Anche noi, Papa e Cardinali, dobbiamo sempre rispecchiarci in questa Parola di verità. È una spada affilata, ci taglia, è dolorosa, ma nello stesso tempo ci guarisce, ci libera, ci converte. Conversione», conclude Francesco, «è proprio questo: da fuori strada, andare sulla strada di Dio».
Dopo l’omelia, il Papa ha imposto ai neo-porporati lo zucchetto e la berretta cardinalizia, consegnato l’anello cardinalizio e assegnato a ciascuno una chiesa di Roma quale segno di partecipazione alla sollecitudine pastorale del Papa nell’Urbe, consegnando loro la Bolla di creazione cardinalizia e di assegnazione del Titolo o della Diaconia con il quale vengono “incardinati” simbolicamente nella diocesi di Roma tutti gli appartenenti al Collegio cardinalizio.
Un Concistoro diverso, segnato dalla pandemia, dove due dei neo-cardinali non sono potuti venire a Roma per ricevere dalle mani del Pontefice la berretta: si tratta del filippino mons. Jose Fuerte Advincula, arcivescovo di Capiz, e mons. Cornelius Sim, vicario apostolico del Brunei. Come tutte le celebrazioni in questo tempo di pandemia, il rito si è tenuto all’Altare della Cattedra, alla presenza di pochi fedeli, tutti distanziati e con la mascherina. Si tratta di laici, persone consacrate, presbiteri e vescovi legati ai cardinali appena creati. È stato omesso anche “l’abbraccio di pace” tra i neo porporati. Domenica, prima dell'Avvento, il Papa alle 10 presiede la celebrazione eucaristica insieme a tutti i cardinali creati in questo Concistoro.

All’inizio del Concistoro il nuovo cardinale Mario Grech, maltese, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, ha rivolto un indirizzo di saluto a nome di tutti i porporati: «Le drammatiche circostanze che la Chiesa e il mondo stanno attraversando ci sfidano ad offrire una lettura della pandemia che aiuti tutti e ciascuno a cogliere in questa tragedia anche l'opportunità di ripensare i nostri stili di vita, le nostre relazioni, l'organizzazione delle nostre società e soprattutto il senso della nostra esistenza. E questo lo diciamo non solo per il mondo, ma anche per noi, per la Chiesa», ha detto.
Con riferimento al proprio ruolo specifico, Grech ha parlato del «profilo della Chiesa sinodale e della sinodalità come forma e stile della Chiesa. È questa la visione che Lei, Santo Padre, ci propone con forza», ha proseguito, «La costituzione Episcopalis communio prova ad attuarlo, interpretando il Sinodo dei Vescovi non più come evento, ma come processo, nel quale sono coinvolti in sinergia il Popolo di Dio, il Collegio dei vescovi e il Vescovo di Roma, ciascuno secondo la sua funzione. Sottolineo», ha aggiunto, «il ruolo irrinunciabile che in questo processo ricopre il Popolo di Dio. In questo modo il “sensus fidei” recupera la sua funzione attiva, che permette di praticare l'ascolto come principio di una Chiesa veramente tutta sinodale. La sinodalità immette tutti i livelli di vita e missione della Chiesa in una dinamica di circolarità feconda: le Chiese particolari, le province e regioni ecclesiastiche, la Chiesa universale, in cui anche il Collegio dei Cardinali offre la sua parte, sono inserite in quel processo sinodale che manifesta 'un dinamismo di comunione che ispira tutte le decisioni ecclesiali».

Al termine del Concistoro, Francesco e gli 11 nuovi cardinali presenti a Roma si sono recati in visita al Papa emerito, Benedetto XVI (nella foto sopra), nella cappella del monastero Mater Ecclesiae. L’incontro si è svolto «in un clima di affetto - riporta una nota della Sala Stampa vaticana - i cardinali sono stati presentati individualmente al Papa emerito che ha espresso la propria gioia per la visita e, dopo il canto del Salve Regina, ha impartito loro la benedizione». La visita si è conclusa poco dopo le 17. La visita al monastero Mater Ecclesiae in Vaticano è divenuta ormai una consuetudine, sempre rinnovata a partire dal Concistoro del 2016. Nelle prime due occasioni del 2014 e del 2015, il Papa emerito aveva preso parte alla celebrazione nella Basilica di San Pietro. Lo scorso anno, accogliendo le nuove porpore, Benedetto XVI aveva ricordato loro il valore della fedeltà al Papa.