Dei venti nuovi cardinali manca solo, a motivo dell’età avanzata (95 anni) il cardinale José de Jesús Pimiento Rodríguez, arcivescovo emerito di Manizales, in Colombia (vedi le biografie complete). Nella basilica di San Pietro il Papa, alla presenza anche di Benedetto VI, impone le berrette cardinalizie e sceglie, come lettura guida della celebrazione l'inno alla carità. Nella Chiesa, infatti, spiega papa Francesco, «ogni presidenza proviene dalla carità, deve esercitarsi nella
carità e ha come fine la carità. Anche in questo la Chiesa che è in Roma
svolge un ruolo esemplare: come essa presiede nella carità, così ogni
Chiesa particolare è chiamata, nel suo ambito, a presiedere nella
carità» (leggi il testo integrale dell'omelia).
Perché i cardinali siano «cardine, dunque non qualcosa di
accessorio, di decorativo, che faccia pensare a una onorificienza, ma un
perno, un punto di appoggio e di movimento essenziale per la vita della
comunità» occorre lasciarsi
guidare dalle parole ispirate dell’apostolo
Paolo.
Il Papa elenca le caratteristiche della carità, «magnanima e benevola». E spiega che, «quanto più si allarga la responsabilità nel servizio alla
Chiesa, tanto più deve allargarsi il cuore, dilatarsi secondo la misura
del cuore di Cristo. Magnanimità è, in un certo senso, sinonimo di
cattolicità: è saper amare senza confini, ma nello stesso tempo fedeli
alle situazioni particolari e con gesti concreti. Amare ciò che è grande
senza trascurare ciò che è piccolo; amare le piccole cose
nell’orizzonte delle grandi». Il Papa ricorda il motto latino che è sulla tomba di Sant'Ignazio di Loyola «Non coerceri a maximo, contineri
tamen a minimo divinum est» (Non esser costretto da ciò ch'è più grande, essere contenuto in ciò ch'è più piccolo, questo è divino), e sottolinea che bisogna «saper amare con gesti benevoli. Benevolenza
è l’intenzione ferma e costante di volere il bene sempre e per tutti,
anche per quelli che non ci vogliono bene».
Non deve esserci invidia, non deve esserci orgoglio, anche se siamo tutti umani e «anche le dignità
ecclesiastiche non sono immuni da questa tentazione. Ma proprio per
questo, cari Fratelli, può risaltare ancora di più in noi la forza
divina della carità, che trasforma il cuore, così che non sei più tu che
vivi, ma Cristo vive in te. E Gesù è tutto amore».
E, seguendo il passo di San Paolo, il Papa parla ancora della carità che «non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse», anche quando tale interesse può essere ammantato di nobili rivestimenti.
La carità «non si adira,
non tiene conto del male ricevuto». Difficile per un pastore che è sempre a contatto con le persone e per il quale non mancato le occasioni di arrabbiarsi. Ma anche in questo, è la cartà che «ci libera dal pericolo di reagire
impulsivamente, di dire e fare cose sbagliate; e soprattutto ci libera
dal rischio mortale dell’ira trattenuta, “covata” dentro, che ti porta a
tenere conto dei mali che ricevi. No. Questo non è accettabile
nell’uomo di Chiesa. Se pure si può scusare un’arrabbiatura momentanea e
subito sbollita, non altrettanto per il rancore. Dio ce ne scampi e
liberi!».
Il Papa torna sul tema delle ingiustizie e ricorda che «chi è chiamato nella Chiesa al servizio
del governo deve avere un forte senso della giustizia, così che
qualunque ingiustizia gli risulti inaccettabile, anche quella che
potesse essere vantaggiosa per lui o per la Chiesa. E nello stesso tempo "si rallegra della verità": che bella questa espressione! L’uomo di Dio
è uno che è affascinato dalla verità e che la trova pienamente nella
Parola e nella Carne di Gesù Cristo».
E infine Francesco indica il programma della vita spirituale e pastorale. Un programma contenuto nelle quattro parole della lettera di Paolo: «La carità "tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta».
Solo così si ppotrà essere «persone capaci di perdonare
sempre; di dare sempre fiducia, perché piene di fede in Dio; capaci di
infondere sempre speranza, perché piene di speranza in Dio; persone che
sanno sopportare con pazienza ogni situazione e ogni fratello e sorella,
in unione con Gesù, che ha sopportato con amore il peso di tutti i
nostri peccati».