Le Americhe saranno protagoniste nel panorama futuro della Chiesa cattolica. Se non altro per i numeri. Sarà certamente così per l'America centrale e latina, che accoglie quasi la metà dei fedeli cattolici di tutto il mondo (circa 600 milioni). Giovanni Paolo II aveva compreso fino in fondo l'importanza e la
centralità di questo continente. Benedetto XVI ha seguito la linea del
suo predecessore, ma in modo più tiepido, preoccupato soprattutto della
secolarizzazione crescente in Europa.
In Sudamerica la Chiesa si confronta con una serie di sfide importanti: lo sviluppo economico che procede rapido in vari Paesi e la lotta alla povertà e alle disuguaglianze sociali ancora drammaticamente marcate, i cambiamenti sociali, la progressiva formazione di una classe media, la trasformazione delle città, delle sterminate periferie urbane e delle favelas, la diffusione dilagante delle chiese evangeliche che promettono già in terra quello che la Chiesa cattolica assicura in cielo e rispondono alle richieste "on demand" dei fedeli. E poi il retaggio della Teologia della liberazione che, sotto altre forme e definizioni, continua a vivere nella sensibilità e nell'operato attivo di una buona parte del clero latino impegnato in una missione di solidarietà sociale verso le popolazioni locali.
Nel continente sudamericano la Chiesa di recente ha dovuto confrontarsi, anche in modo aspro, con le leadership politiche di alcuni Paesi. In Venezuela, con la morte del presidente Hugo Chávez - leader forte e carismatico, autoritario e populista, che aveva creato una sorta di idolatria intorno alla sua figura da parte dei ceti più bassi - ora si potrebbero aprire rinnovate sfide per la Chiesa locale, che dovrà intessere nuove relazioni con chi raccoglie l'eredità del Comandante bolivariano, il suo delfino Nicolas Maduro in primis. Sotto la presidenza di Cristina Kirchner, l'Argentina è diventata il primo Paese latinoamericano a introdurre il matrimonio tra persone dello stesso sesso: questione che la "presidenta" aveva rivendicato come uno dei suoi temi forti per ottenere il secondo mandato.
Quanto a Dilma Rousseff in Brasile, i rapporti con la Chiesa cattolica sono piuttosto freddi e le gerarchie ecclesiastiche l'hanno criticata per le sue posizioni sull'aborto. In Bolivia, dove poco meno dell'80% della popolazione si dichiara cattolica, i rapporti tra il potere politico - incarnato dal primo presidente indigeno Evo Morales - e le autorità ecclesiastiche negli ultimi anni non sono stati affatto semplici e privi di tensioni.
La Chiesa del Sudamerica è strettamente legata a quella del Nordamerica: negli Stati Uniti, infatti, il cattolicesimo riceve nuovo e vigoroso impulso dalla migrazione massiccia dei latinos. Del resto, il cardinale canadese Marc Ouillet, elettore al Conclave e uno dei rappresentanti più significativi della Chiesa americana a Roma, è un esperto conoscitore dell'America latina, avendo operato a lungo in Colombia. Insomma, nonostante le profonde differenze dei contesti politici, economici, sociali, le due Americhe sono unite attraverso il filo del fermento cattolico. Di fronte alla crisi economica che ha messo in ginocchia gli Stati Uniti, la Chiesa nordamericana in questi anni bui si è impegnata attivamente nel sostegno delle fasce più deboli, ha sollecitato con determinazione la politica a prendere concreti provvedimenti in favore delle famiglie a basso reddito e dei ceti più vulnerabili, attuando misure che abbiano sempre a cuore la dignità della persona e la ricerca del bene comune.
La Chiesa cattolica degli Stati Uniti è sempre più Iglesia e sempre meno Church. Grazie al massiccio afflusso di immigrati dall'America Latina la lingua dominante dei cattolici americani sta diventando lo spagnolo. D'altra parte i latinos ormai rappresentano quasi il 40% dei fedeli della Chiesa cattolica statunitense. L'immigrazione, non solo da parte degli ispanici, sta ridando dinamismo alla Chiesa nordamericana e gli Stati Uniti, secondo i dati del Pew Center, rappresentano nel mondo la principale destinazione dei migranti cristiani. Il 30% delle parrocchie, almeno una volta al mese, celebra una messa in una lingua diversa dall'inglese e un terzo del clero è formato da preti non statunitensi.
Negli Stati Uniti i cattolici sono poco più di 78 milioni e costituiscono il 25% della popolazione. Sul territorio sono presenti 195 diocesi e 17.644 parrocchie. I vescovi in attività, senza contare gli emeriti, sono 270 e fra loro si contano 5 cardinali arcivescovi. Nel corso degli anni il numero delle parrocchie è rimasto più o meno stabile, ma i dati del Cara (un centro di ricerca no profit della Georgetown University di Washington) fotografano un netto calo dei membri del clero. Nel 1965 il clero statunitense era formato da 58.632 sacerdoti, nel 2012 se ne contavano solo 38.964.
Il calo riguarda sia i preti diocesani (da 35.925 a 26.661) sia quelli appartenenti agli ordini religiosi (scesi da 22.707 a 12.303). Calo drastico anche fra i religiosi (erano 12.271 nel 1965, l'anno scorso ne restavano solo 4.447), mentre le suore sono passate da 179.954 a 54.018. Negli ultimi decenni, invece, è rimasto stabile (segna anzi un leggero aumento) il tasso di partecipazione alla messa domenicale: dal 22% del 2000 al 24% dello scorso anno.
Roberto Zichittella
"Out of touch". Cioè distante, poco aggiornata, non in sintonia con il comune sentire. Così la maggioranza dei cattolici degli Stati Uniti giudicano la loro Chiesa secondo un sondaggio realizzato a fine febbraio da New York Times/Cbs. Il dato non sorprende. Tra i cattolici nordamericani è ancora forte lo shock determinato dallo scandalo della pedofilia nel clero. Lo scandalo ha scosso la Chiesa degli Stati Uniti nell'ultimo decennio. Ha coinvolto diocesi importanti come Boston e Los Angeles (toccando il cardinale Mahoney, che comunque parteciperà al Conclave), ha provocato le dimissioni di vescovi (come il cardinale Bernard Francis Law), ha causato la bancarotta di alcune diocesi per via degli alti costi delle spese legali e dei risarcimenti dovuti alle vittime degli abusi sessuali.
Al momento dei processi, non tutte le accuse nei confronti del clero si sono rivelate fondate, tuttavia l'immagine della Chiesa cattolica statunitense è uscita dallo scandalo fortemente deteriorata. Secondo il sondaggio del New York Times/Cbs gli abusi sessuali da parte di preti e religiosi restano il problema principale della Chiesa negli Stati Uniti. Negli ultimi anni l'episcopato nordamericano ha denunciato i mali del sistema economico e finanziario, le politiche restrittive sull'immigrazione, la legalizzazione dei matrimoni omosessuali. Sui temi etici (riguardo ai quali 8 cattolici su 10 dichiarano di seguire la loro coscienza piuttosto che la dottrina della Chiesa), durante il primo mandato di Barack Obama, la Conferenza episcopale Usa si è opposta in modo netto alla riforma sanitaria voluta dal presidente, in particolare per la copertura assicurativa obbligatoria alle pratiche abortive e anticoncezionali.
Secondo i vescovi (anche in questo seguiti solo da una minoranza di fedeli), l'obbligo anche per enti e ospedali cattolici avrebbe rappresentato una palese violazione della libertà religiosa. All'inizio del 2013, comunque, il Governo ha annunciato che gli enti cattolici saranno esentati dall'obbligo del pagamento dei servizi abortivi e contraccettivi per i propri dipendenti. Il gesto distensivo ha riportato il sereno fra Obama e la Chiesa cattolica. Ora il presidente spera di averla alleata nella sua battaglia per regolamentare il porto d'armi, mentre il tema dell'abolizione della pena di morte non sembra una priorità nell'agenda del presidente.
Roberto Zichittella
Boston passa gli eventi che dalle dimissioni di Benedetto XVI porteranno all'elezione del suo successore sotto la lente d’ingrandimento. Con 1,8 milioni di fedeli (stimati dall'arcidiocesi) su 3 milioni circa di residenti, qui vive la percentuale di cattolici dichiarati più alta della Nazione. Inoltre, l'interesse aumenta in modo esponenziale se gioca – con qualche possibilità reale di vincere - la squadra di casa.
A Boston si chiama Sean Patrick O’Malley, arcivescovo dal 2003, quando in pieno scandalo pedofilia ha preso il posto del controverso – e dimissionario - cardinale Bernard Law, nominato a sua volta cardinale da Papa Ratzinger nel 2006. Dopo aver dimostrato polso e decisione nel ripulire una Chiesa sconvolta da uno tsunami di accuse, rivelazioni, denunce, condanne e risarcimenti, che proprio da Boston era partito, O'Malley è stato inviato dallo stesso Benedetto XVI (come unico rappresentante del clero americano) in missione in Irlanda per aiutare la Curia a riportare anche lì chiarezza e pulizia.
«Qui fanno tutti il tifo per lui, e se qualcuno spera che non venga eletto è perché ha paura di perderlo come vescovo», racconta padre Antonio Nardoianni, parroco di St.Leonard, meglio conosciuta col nome italiano di San Leonardo, visto che dal 1873 sorge nel cuore del North End, il quartiere più antico di Boston e, per almeno tutto il XX secolo, vera e propria roccaforte della numerosa comunità italiana. «In parrocchia lo conosciamo bene, ha celebrato molte messe da noi, anche in italiano, e spesso viene ai nostri incontri, specie quelli coi giovani».
Il 68enne cardinale-cappuccino originario dell’Ohio si rivolge ai giovani tramite un sempre aggiornato blog personale (il primo porporato al mondo ad adottare questa forma di comunicazione). E alle varie componenti etniche di recente adozione – linfa della comunità cattolica di Boston e rimpiazzo essenziale per i molti transfughi dello zoccolo duro irlandese ed italiano verso denominazioni protestanti - nelle rispettive lingue d’origine: francese (che parla correntemente) con gli haitiani, spagnolo e portoghese - lingue nelle quali ha ottenuto un dottorato dalla Catholic University of America di Washington – rispettivamente con ispanici, portoghesi e soprattutto brasiliani il cui numero, in città come nelle 292 parrocchie dell'arcidiocesi, è in crescita esponenziale.
«Preghiamo ad ogni Messa affinché lo Spirito Santo guidi il Conclave verso la scelta migliore», dice padre Ademir Guerini,
originario di Porto Alegre, in Brasile, e da due anni parroco di St.
Anthony a Cambridge (anche questa meglio nota in col nome portoghese
Sant’Antonio) dove in totale oltre 700 fedeli (molti immigrati da poco)
frequentano i servizi offerti sia in inglese che in portoghese. Ma qui,
spiega con un sorriso Padre Guerini, la torcida si divide tra il bostoniano O’Malley e il paulista Scherer e
per ovvi motivi geografici non potrebbe essere altrimenti. «Comunque,
sperano tutti in un papa che rappresenti una guida certa e che
soprattutto ci restituisca la gioia di essere cattolici».
Di fatto anche tra i latinos le fughe verso i movimenti protestanti –
specie quelli cosiddetti evangelici, particolarmente aggressivi nel loro
proselitismo - sono numerose e a Boston la “gioia” di cui parla padre
Guerini ha inevitabilmente risentito negli ultimi anni delle tante
brutte notizie con l’arcidiocesi come protagonista.
Particolarmente criticata poi la ristrutturazione della stessa, a metà degli anni duemila, con
la conseguente chiusura di un'ottantina di parrocchie alcune delle
quali storici punti di riferimento per le comunità di immigrati - anche
italiane, avvenuta nel momento peggiore dello scandalo, proprio quando
cominciavano ad affiorare le cifre dei risarcimenti alle vittime della
pedofilia (in totale 85 milioni circa pagati nel 2003 a oltre 500
querelanti) alimentando così il sospetto di una "raccolta di fondi
immobiliare" per così dire, a danno dei fedeli.
«La svolta era necessaria, a prescindere dagli scandali, tanto
che, ancora oggi, le chiese sono troppe», afferma padre Nardoianni in
difesa del suo arcivescovo che al tempo, suo malgrado, si trovò a
guidare una vera e propria rivoluzione amministrativa. «E comunque,
quando sulla chiesa si accendono i riflettori è sempre una buona cosa»,
conclude il parroco di origini campane, «perché
se ci sono macchie aiuta a vederle meglio e a pulirle in tempi più brevi».
Adesso sulla Chiesa i riflettori sono puntati eccome, e da Boston,
rispetto al resto d’America, se ne sta accendendo qualcuno in più. Non
stupisce se la città che ha dato agli Stati Uniti il primo e unico
presidente cattolico della sua storia, John F. Kennedy, adesso spera di
dare al mondo il primo Papa americano.
Stefano Salimbeni
«Il prossimo Papa dovrà essere Un uomo contemporaneo, in dialogo permanente con il mondo e con la cultura di oggi, con questo mondo globalizzato, pieno di bisogni, di speranze, di aneliti». Monsignor Rubén Salazar Gomez è arcivescovo di Bogotà,
vicepresidente del Consiglio episcopale latinoamericano e uno degli
ultimi cardinali creati da Benedetto XVI, il 24 novembre del 2012. Sarà
uno degli elettori al Conclave e uno dei rappresentanti della Chiesa in
America Latina, il continente che oggi raccoglie il 42% dei cattolici di
tutto il mondo.
Al telefono da Bogotà, prima di prendere il volo per Roma il cardinale ha raccontato di sé: «Sono nato a Bogotà da una famiglia profondamente cattolica. Sono cresciuto con gli insegnamenti della Chiesa. Per me, quindi, diventare sacerdote è stato un percorso naturale. E ho avuto la grande fortuna di vivere a Roma come seminarista proprio negli anni del Concilio Vaticano II». Poi, il ritorno nella sua Colombia, terra martoriata da un conflitto interno che da mezzo secolo oppone Governo e gruppi dei guerriglieri legati al narcotraffico, le Farc (e prima anche i gruppi paramilitari ora smobilitati), in uno dei primi Paesi produttori di cocaina nel mondo. Un dramma che ha provocato un'emergenza umanitaria: 3,7 milioni di sfollati interni nel 2011, secondo le cifre del Governo di Bogotà; ma la cifra reale probabilmente si avvicina ai 5 milioni. Uno dei motivi principali delle migrazioni forzate è la paura delle famiglie di vedersi portare via i loro bambini dai guerriglieri, che costringono i minori a imbracciare i fucili. Secondo Amnesty International almeno un combattente su quattro ha meno di 18 anni.
L'anelito della Colombia, oggi, è proprio questo: raggiungere finalmente la pace, mettere la parola fine alla violenza che ha dilaniato il Paese andino, recuperare la stabilità interna. «La Chiesa cattolica colombiana è molto solida ed è presente in tutto il Paese, anche nelle regioni più lontane ed emarginate (il 90% della popolazione è cattolica). Si esprime come forza comunitaria, attraverso la fraternità e la solidarietà». Monsignor Salazar osserva: «Ora è in corso a Cuba un processo di pace fra il Governo e i leader delle Farc, al quale la Chiesa non partecipa direttamente».
E spiega il motivo:«Il processo si compone di tre fasi: prima c’è stato
un dialogo segreto fra autorità e guerriglieri, che ha portato alla
seconda fase, quella attuale, essenzialmente politica. La Chiesa preferisce prendere parte alla terza fase, quella che servirà al consolidamento della pace: vogliamo
lavorare sul campo, fra la gente, nelle comunità, per promuovere la
buona convivenza civica, le scuole di formazione alla pace sul
territorio. Io sono convinto che la riconciliazione e il perdono saranno
possibili: nonostante tutti i nostri problemi, quello colombiano resta
un popolo buono, aperto, generoso, con uno spirito profondamente
solidale».
Essere sacerdoti vicini alle comunità, in un Paese segnato dalla piaga della violenza,
certo, spesso è un rischio. «In molte regioni i preti hanno ricevuto
minacce per avere denunciato casi di violenza. Due vescovi sono stati
assassinati, e anche numerosi sacerdoti. Ma noi continuiamo la nostra missione di condivisione con la gente».
Riguardo alla diffusione delle Chiese evangeliche, che proliferano in
Brasile, togliendo fedeli alla Chiesa cattolica, il cardinale commenta:
«Questi gruppi si stanno espandendo anche in Colombia. Ma io non li
considero come minacce, bensì come espressione di alcune tendenze
moderne, ad esempio quella del sensazionalismo, chenon trovano sponda
nella visione tradizionale della Chiesa cattolica».
Monsignor Salazar Gomez ha un profilo su Facebook – dove compare con la definizione di "messaggero di pace e giustizia" – che lui tiene costantemente aggiornato con post e commenti.
«Ho anche un profilo su Twitter», precisa. «Oggi per gli uomini di
Chiesa è fondamentale essere sui social network per raggiungere tutti i
fedeli».
Mentre si prepara ad accogliere i giovani da tutti i continenti, a Rio de Janeiro, per la Giornata mondiale della gioventù , il Paese con il più alto numero di cattolici al mondo coltiva la speranza che la fumata bianca da San Pietro soffi per un cardinale brasiliano (al Conclave sono presenti in cinque), il primo Papa del Sudamerica. Fra gli esponenti più significativi della Chiesa del Brasile e dell'America latina c'è Odilo Pedro Scherer, arcivescovo di San Paolo, la più vasta diocesi del Paese latinoamericano. Con i suoi 63 anni Scherer è uno dei cardinali più giovani e gode di ottima fiducia da parte della Curia romana. Figlio di emigrati dalla Germania, Scherer è nato nel 1949 a Cerro Largo, nello Stato di Rio Grande do Sul, settimo di tredici fratelli.
Lui, notoriamente riservato, si schernisce e non lascia spazio alle divagazioni dei media che lo danno tra i cardinali più accreditati al soglio pontificio. Pare che il suo nome stia crescendo sempre di più nel continente latino e che, secondo la stampa brasiliana, l'arcivescovo di San Paolo conterebbe sull'appoggio dei porporati americani, di quelli dei Paesi in via di sviluppo e una parte degli europei. Al di là delle elucubrazioni pre-Conclave, un pontefice dall'America latina, secondo molti analisti e osservatori, sarebbe essenziale per dare un impulso forte all'opera pastorale della Chiesa nel continente, contrastando la fuga di un gran numero di cattolici verso altre proposte religiose.
Il Brasile rappresenta proprio uno dei terreni sui quali la Chiesa cattolica dovrà concentrare la sua attenzione per arginare l'esodo massiccio verso i gruppi evangelici, sempre più popolari grazie alla spettacolarità delle funzioni, all'uso formidabile dei mezzi di comunicazione (a partire dalla Tv) da parte dei pastori, al forte impatto emotivo sulle fasce meno acculturate. Il Censimento del 2010, nel Paese, mostra dati molto preoccupanti: nel 2000 la popolazione cattolica brasiliana era il 73,6%, dieci anni dopo è crollata al 64,4%. In questo stesso decennio, la popolazione evangelica è cresciuta dal 15,4 al 22%.
In modo particolare il Censimento fotografa una situazione critica a San Paolo,
la diocesi di monsignor Scherer. La metropoli ha vissuto una
polverizzazione evangelica: il numero degli evangelici senza legami con
una Chiesa determinata è quadruplicato dal 2000 al 2010, il numero dei
fedeli che frequentano luoghi di culto minori è cresciuto del 62%.
Secondo gli analisti brasiliani, la caratteristica di questa nuova
configurazione religiosa è una maggiore infedeltà a una istituzione religiosa specifica, la
tendenza a non legarsi a una singola chiesa: il fedele cambia a seconda
delle situazioni e delle esigenze, se vuole ad esempio ascoltare
musica, oppure ascoltare un messaggio più forte. Già nel 2008 a San
Paolo si contavano 18mila luoghi di culto evangelici: da allora si stima
che dovrebbero esserne nati almeno duemila nuovi. Le parrocchie
cattoliche non arrivano a 500.
In un'intervista televisiva monsignor Scherer ha detto che la Chiesa
cattolica non ha intenzione di competere con le nuove chiese, di
ingaggiare una gara con loro. Insomma, nessuna battaglia sul campo.
Scherer è un uomo difficile da incasellare in categorie definite: è
considerato un conservatore sui temi morali forti, ma allo stesso tempo
un uomo di Chiesa moderno, aperto alla complessità della realtà sociale del Brasile.
Ama la musica di Beethoven ma ascolta anche quella di Chico Buarque. Ha
un'indole riservata ma anche ironica, propensa allo humor. Si sposta in metropolitana e usa con disinvoltura l'Iphone4S.
E ha una grande dimestichezza con i social network: famosi sono i suoi
cinguettii, spesso spiritosi, su Twitter, attraverso il quale comunica
in modo aperto con i fedeli.
Ed è favorevole all'impegno dei cattolici in politica. Lui
stesso, nel recente passato, in occasione delle elezioni municipali a
San Paolo, ha polemizzato apertamente con il coordinatore della campagna
di uno dei candidati Celso Russomanno, accusandolo di fomentare la
discordia con i cattolici: «Ci ha molto intristito», ha dichiarato
Scherer, «nel contesto della propaganda elettorale dei partiti, vedere
la Chiesa cattolica apostolica romana attaccata e offesa, in modo
ingiustificato e gratuito, proprio in un articolo del capo della
campagna di un candidato sindaco di San Paolo».
Monsignor Luis Infanti de la Mora,
originario di Udine, rappresenta la Chiesa ai confini del mondo. Da decenni Infanti vive e opera in Patagonia, estremo Sud
del Cile, come vescovo del vicariato apostolico della regione di Aysén,
territorio di oltre 100mila chilometri quadrati suddiviso in sei parrocchie, abitato da quasi 90mila persone
(di cui 40mila soltanto nella città di Coyhaique, sede del vicariato).
Una circoscrizione vastissima territorialmente (è la terza regione del
Cile per estensione), ma abitata da una popolazione proporzionalmente
molto esigua. Terra affascinante, aspra, frastagliata, costellata di
fiordi, montagne e ghiaccai a strapiombo sull'Oceano. Qui, la Chiesa
cattolica è molto impegnata anche sul fronte ambientale, per la difesa
del paesaggio e dei beni della terra. La regione di Aysén, infatti, è ricchissima di acqua, la sua grande risorsa,
ma anche la sua maledizione. Da anni la popolazione locale - ma anche
la società civile cilena - si oppone a un grande progetto
idroelettrico. Accanto alla popolazione, a portare avanti strenuamente
questa battaglia è proprio monsignor Infanti, che su questo problema ha
anche scritto un libro, Dacci oggi la nostra acqua quotidiana (edito da Emi).
Quali sono i problemi principali nella regione di Aysén?
«La costanza e la partecipazione della gente di fede negli impegni e
nelle attività di carattere sociale. Inoltre, la formazione degli agenti
pastorali incaricati di raggiungere le popolazioni più lontane e
isolate: basti pensare che la regione si estende per 900 chilometri da
un estremo all'altro».
A che punto è la situazione delle risorse idriche locali, per le quali lei sta combattendo da anni?
«L'82% dell'acqua del Cile è privatizzata (nella sua proprietà, gestione e
distribuzione) e in mano della impresa multinazionale italiana Enel
(attraverso la controllata spagnola Endesa). Questo a causa di una politica di Stato che ha origine al tempo della
dittatura di Pinochet e non cambiata dai seguenti Governi democratici, Nella regione di Aysén, in
Patagonia, ricchissima di acqua, il tasso sale fino al 96%. Con questa
proprietà, l'impresa sta promuovendo la costruzione di 5 megadighe sui
fiumi Pascua e Baker per produrre energia idroelettrica da portare a più
di 2.000 chilometri di distanza, alle imprese minerarie nel Nord del
Cile. Questo megaprogetto da alcuni anni non sta avanzando, si è
bloccato, solo grazie alla ferrea opposizione della popolazione. Ci sono
settori della società e organizzazioni sempre più numerosi che
rivendicano la non privatizzazione e la non mercantilizzazione
dell'acqua cilena».
Come vivono i giovani? Quali sono i problemi della gioventù di Aysén?
«Dato che non ci sono sedi universitarie nella regione (dove la
popolazione è poca), la maggior parte della gioventù emigra verso il
Nord del Paese per studiare. Il 27% dei bambini e dei ragazzi della
regione studiano nelle scuole cattoliche. In generale la gioventù è
sanae partecipativa (nelle attività sportive, quelle ecclesiastiche, nei
temi legati all'ecologia...), tuttavia c'è una minoranza che soffre dei
problemi di droga e alcolismo».
Si parla molto del grande sviluppo economico del Cile. Questo progresso si riflette anche sulla Patagonia?
«Le cifre indicano una crescita progressiva del Paese. Tuttavia i
benefici economici sono solo per le grandi imprese e le società
transnazionali, che sfruttano le risorse naturali in cambio di benefici
sociali esigui e ridotti. La disuguaglianza nei salari è impressionante.
La povertà, se è vero che ha avuto un calo, tuttavia rimane
elevatissima (le statistiche operano una distorsione della realtà). Sono
fortemente evidenti i sintomi della corruzione sociale. In Patagonia,
essendo una regione molto isolata rispetto al centro del Paese, i costi
sono più elevati, i salari bassi e la situazione non è molto diversa da
quella del resto del Cile».
Esiste la minaccia delle chiese evangeliche?
«Sì, le chiese evangeliche sono diffuse, però non sono molto
"aggressive". Il problema di fondo è che non esiste un lavoro di dialogo
ecumenico».
La Chiesa cattolica è molto seguita e ascoltata?
«Qui la grande maggioranza della popolazione è religiosa (70% cattolica,
15% evangelica). I cattolici vivono la loro partecipazione attiva nei
momenti delle festività. Molti laici, grazie alla loro formazione, hanno
assunto responsabilità rilevanti nella Chiesa e nella sua conduzione e
gestione. In generale, si può affermare che la Chiesa cattolica è molto
ascoltata, apprezzata e amata».
Come è stata accolta la notizia delle dimissioni di Benedetto XVI?
«Con sorpresa. Tuttavia apprezzando molto la umiltà del Papa nel
riconoscere i suoi limiti e la sua incapacità ad animare e guidare la
Chiesa attuale con le sue enormi sfide (sia al suo interno sia in
relazione con il mondo e le sue culture). Sebbene sia stato un evento di
rilevanza mondiale, la gente della Patagonia sente molto di più la
vicinanza della Chiesa locale. Continuiamo a pregare, sia per il Papa
che ha rinunciato sia per quello che sarà eletto».
La gente di Aysén come vede la Chiesa di Roma e il Vaticano?
«Con grande rispetto e affetto, senza interessarsi molto alle tante
interpretazioni e versioni giornalistiche speculative. La gente ammira
il Papa, la curia vaticana non entra nell'interesse delle persone di
qui. Il Vaticano è ammirato essenzialmente per il suo valore storico e
artistico. Ma davvero pochissime persone di Aysén hanno avuto
l'opportunità di visitare Roma e il Vaticano».