A mio figlio. Man mano che il tempo passa sento, prepotente, il bisogno di liberarmi di un peso. Malgrado i contatti, recentemente più frequenti, non posso non avvertire la mancanza della quotidianità nella nostra interazione; essa, nonostante mille fastidi e dolori, ma con altrettante piccole e grandi gioie, dà un senso alla nostra esistenza. Non debbo, naturalmente, aspettarmi nulla di particolare da te, da voi che vivete l’esistenza vostra, fortunatamente senza questo fardello che è esclusivamente mio; e vi auguro che tale vita sia un crescendo di gioia e salute.
Desidero però farti sapere che il distacco da quella che è stata la mia famiglia io non l’ho mai, intimamente, accettato. Avevo, allora, un temperamento rude e sicuramente ho commesso errori ma, credo, non sono stato mai crudele. Eppure ho subito un trattamento che mi ha spossessato della possibilità di gioire e soffrire con il mio bimbo; ho potuto partecipare poco o per niente alle scelte che ti riguardavano (per es. chiedevo per te l’avviamento a una formazione informatica e in lingua e cultura anglosassone). Che si potesse considerare il vincolo del matrimonio non indissolubile era diventato, da poco, un problema soltanto religioso, e io obtorto collo me ne dovetti fare una ragione; altrettanto per quanto riguarda il voler rifondare la propria vita; ma non era giusto che si facesse terra bruciata tra padre e figlio, e particolarmente in quel contesto geografico a me estraneo.
E allora cosa fare? A chi rivolgermi? In quel tempo non esisteva l’affido condiviso. In ogni caso c’erano, comunque, delle modalità giudiziali o attraverso le assistenti sociali per avere ciò che mi spettava di diritto e anche per gli accordi che erano stati presi in sede di separazione prima e di divorzio poi, dei quali potevo, ormai, scarsamente fruire dopo l’inaspettato vostro trasferimento a... Ma scelsi di non ricorrere né all’una né all’altra modalità per non trasformare la nostra vicenda in un litigioso, squallido, tentativo di accaparramento di affetto, per non rischiare di compromettere il tuo equilibrio nello sviluppo della personalità. E così tenni per me il dolore di aver perso a un tempo moglie e figlio, cercando di non far del male all’una e, soprattutto, all’altro.
Lo scorrere degli anni non mi ha portato una serenità completa, la mia vita è pervasa da una sottile malinconia; aver visto il film Il piccolo grande uomo con Dustin Hoffman ha fatto scattare in me un meccanismo d’identificazione; in una delle sequenze un ragazzo vede un vecchio pellerossa, suo nonno adottivo, che si sta allontanando lasciando per sempre la sua tribù e gli chiede di non farlo; ma il nonno lo guarda intensamente e gli dice: «Oggi è un buon giorno per morire». Qual è il senso della frase? L’uomo aveva guidato il suo popolo, aveva creato la sua famiglia, magari con regole tutte legate al suo clan, forse senza neanche chiedersi se fossero giuste o non giuste: così aveva fatto suo padre e il padre di suo padre. Quell’uomo era pronto per morire perché in pace con la sua coscienza. E quest’obiettivo è diventato, un po’, la mia ossessione. Attualmente, con il senno di poi, sono pentito di aver accettato pro bono pacis di arrivare all’alba a…, senza sapere dove poterti condurre; ricordo un giorno in cui pioveva e, quindi, ti portai in camera in albergo dove, forse, mi scambiarono per un pedofilo (scioccamente non chiarii con il portiere). Per cercare di chiudere con il passato c’è chi si arruola nella Legione Straniera; io scelsi di andarmene in…. È pur vero che il passato, per definizione, è purtroppo passato e, in materia affettiva, non esistono risarcimenti e nessuno e niente potrà fare tornare indietro i compleanni, gli onomastici, i primi giorni di scuola, le scelte condivise o prese in contrasto; i suoi effetti, però, sono radicati nel presente. Tu adesso sei adulto e anche padre di figli; ecco perché solo oggi questo sofferto mio scritto, tenuto in un cassetto segreto della mia memoria, può finalmente cercare il tuo cuore. Conservalo e rileggilo, ogni tanto, per avere un’idea più completa del mio sentire e delle mie scelte travagliate, consideralo una specie di testamento spirituale. Non che abbia, ovviamente, intenzione di andarmene anche io. La longevità caratterizza la nostra famiglia. Questa, almeno, è la mia intenzione; bisogna vedere quella del Padreterno. Ti abbraccio.
TUO PADRE
L’autore della lettera, nello scritto di accompagnamento, spiega di essere divorziato da vari decenni e di avere un glio adulto con una sua famiglia, cresciuto con la madre in una città lontana dalla sua. Nei giorni scorsi gli ha scritto, esprimendo la situazione da lui vissuta. Ha mandato poi la lettera al nostro giornale su consiglio del suo vescovo, perché potrebbe essere utile ad altri. Tanti sono gli spunti. Emerge, prima di tutto, un grande senso di tristezza, per il tempo perduto, per le occasioni mancate. È uno degli effetti delle separazioni e dei divorzi. Non sempre è così, oggi le leggi rendono più facile tenere vivo il legame affettivo tra genitori e figli. Tuttavia non si tratta mai di una cosa da nulla, specialmente quando ci sono di mezzo dei figli. Cosa dire, se non di tentare sempre la via della conciliazione e, prima ancora, di ponderare bene la scelta di sposarsi e di avere figli? Da questo punto di vista la preparazione al matrimonio (per quelli che ancora si sposano in chiesa) non può essere superficiale e approssimativa. Diverse diocesi e parrocchie si stanno impegnando in questo senso e vanno incoraggiate