Il modello è in Centrafrica e la strategia è quella messa in campo dalla Santa Sede per il Venezuela. Ma la scommessa che funzionerà davvero per arrivare alla fine della guerra civile in Sud Sudan, il Paese più giovane del mondo, che dall’indipendenza cinque anni fa ottenuta dal Sudan è lacerato da un tremendo conflitto, non affatto certo che venga vinta. Eppure Papa Francesco ha deciso di provare e ha inviato, come è accaduto per il Venezuale, una lettera al presidente del Sudan Kiir e al suo ex-vice Machar che cappeggia le fazioni in lotta con il governo. Poi c’è l’impegno di tutti i leader religiosi sudsudanesi, compresi i musulmani. Manca ancora tuttavia l’adesione all’ipotesi di una tavola rotonda, che metta insieme governo e opposizioni per avviare un dialogo che porti alla fine delle violenze, da parte del presidente Presidente Salva Kiir e del suo ex vice-Presidente Riek Machar. Il conflitto ha assunto infatti fin dai primi momenti una dimensione etnico-tribale, con massacri indiscriminati di civili in base alla loro appartenenza etnica. Il fallimento degli accordi di pace raggiunti a fine agosto, dopo vari tentativi di mediazione internazionale, ha peggiorato la situazione, e gli scontri su base etnica si sono estesi ad aree che finora erano state risparmiate dal conflitto. Oltre ai morti vi sono un milione di rifugiati nei Paesi vicini e un milione e mezzo di rifugiati interni. Così il Papa ha deciso di prendere personalmente in mano la situazione e ha convocato in Vaticano i vescovi delle tre più importanti confessioni religiose presente nel Sud Sudan con lo scopo di discutere e riflettere insieme sulla pace nel Paese. Il Sud Sudan è cristiano all’70 per cento e per il resto musulmano e animista. A Roma sono arrivati il vescovo cattolico della capitale Juba mons. Paulino Lukudu Loro, e quelli della Chiesa episcopaliana, rev. Daniel Deng Bul Yak, e il Moderatore della Chiesa presbiteriana, Rev. Peter Gai Lual Marrow. I leader religiosi sud sudanesi da tempo stanno sollecitando il presidente e il suo vice a deporre le armi. In Centrafrica i leader religiosi sono riusciti nell’impresa e ora il vescovo cattolico di Bangui e da poco cardinale Dieudonné Nzapalainga, l’iman e il vescovo protestante sono chiamati i “santi di Bangui”. A Juba è più difficile. Spiega mons. Luduku al termine dell’incontro con il Papa: “Per ora non c’è volontà di fare la pace. I leader politici continuano a ripetere che prima di bisogna vincere la guerra e dopo si potrà discutere come organizzare la pace. Noi invece chiediamo esattamente il contrario, perché solo il dialogo potrà mettere fine alla violenza”. Mons. Luduko rivela che Papa Francesco ha inviato una lettera personale tramite il cardinale Turkson, presidente del Pontificio consiglio per la giustizia e la pace, che ha visitato a fine luglio il Paese, ai due leader politici in lotta: “Ma il presiedente Kiir l’ha presa, mentre invece quella indirizzata al ex-vice Machar è ancora nella sede della Nunziatura a Juba”. Mons. Luduku spiega che solo un viaggio del Papa potrebbe sbloccare la situazione. I tre leader religiosi lo hanno ripetuto a Bergoglio il quale, secondo quanto ha riferito il vescovo di Juba, ha risposto di “essere disponibile a venire”. Questo è il terzo invito che arriva a Papa Francesco e questa volta è un invito ecumenico sul quale c’è anche accordo, secondo il vescovo di Juba, anche da parte dei musulmani. Anche il presidente ha invitato il Papa, ma manca la risposta alla lettera del Pontefice da parte dell’ex-vice-presidente. Qualche cosa tuttavia potrebbe accadere. Sui due leader in lotta vi sono forti pressioni internazionali, anche da parte della Cina, cliente privilegiato del petrolio sudanese. La Santa Sede è molto preoccupata di una conflitto tra i più dimenticati del pianeta, cosi come lo sono le Chiese protestanti. Lunedì prossimo a Lund in Svezia alle commemorazioni per la Riforma di Lutero alle quali parteciperà il Papa sarà proprio una rifugiata sudsudanese, Rose Nathike Lokonyen, atleta olimpica a Rio nella squadra dei rifugiati, a raccontare il dramma del suo Paese e la svolta che potrebbe avvenire dalla collaborazione delle Chiese cristiane per la pace. E non si esclude che il Papa proprio a Lund possa intervenire direttamente sulla tragedia del Sud Sudan.
Alberto Bobbio