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lunedì 19 maggio 2025
 
IL COMMENTO
 

Quando papà (finalmente) si mette in congedo per fare il papà

19/03/2024  Un riflesso del cambiamento culturale familiare, tra dati, condizioni lavorative e confronto internazionale (di Francesco Belletti). ma siamo ancora la cenerentola europea

Sta diventando quasi una tradizione dei media, in occasione del 19 marzo, richiamare i dati e le statistiche sui congedi di paternità nel nostro Paese, che offrono uno scenario interessante sul mutamento culturale in atto oggi nelle nostre famiglie. Tra le tante informazioni raccolte oggi, almeno tre meritano un breve commento.

IN PRIMO LUOGO l’utilizzo dei congedi di paternità è stabilmente cresciuto dal 2013 ad oggi (sono quasi 3 su 5 oggi i padri che ne hanno usufruito). Lentamente si esce da uno stereotipo ormai logoro (ma ancora persistente), secondo cui la cura dei bambini, soprattutto di quelli più piccoli, è “affare di donna”: sempre più spesso i giovani padri non solo sono disponibili, ma “pretendono” di poter dedicare del tempo ai propri figli. È un dato di civiltà, che dice anche di una crescita – lenta, ma costante anch’essa – di una concezione più paritaria delle relazioni di coppia e delle funzioni maschili e femminili, che senza pretendere di cancellare le differenze di genere, le rende più sinergiche e collaboranti.

UN SECONDO ELEMENTO DI GRANDE INTERESSE è la relazione tra condizione lavorativa dei maschi e utilizzo dei congedi di paternità, che sono utilizzati molto più frequentemente da chi ha un lavoro sicuro, a tempo indeterminato, e tra questi è maggiore tra chi lavora a tempo pieno, rispetto a chi ha un orario part-time. In altri termini, l’uso del congedo di paternità è molto più agevole per chi ha condizioni più stabili, sicure e garantite. Si evidenzia qui un elemento negativo di penalizzazione: i padri che hanno lavori precari o meno retribuiti hanno molte meno opportunità di utilizzare i congedi. Un doppio svantaggio, che andrebbe corretto anche con interventi espliciti lavoristici e di welfare.

DA ULTIMO, UN TERZO NODO riguarda il confronto internazionale: il congedo di paternità in Italia è oggi su dieci giorni lavorativi, che corrisponde anche al “minimo sindacale” recentemente richiesto dall’Unione Europea (nel nostro Paese sono dieci solo dal 2021). Altri Paesi hanno numeri molto superiori (Francia, Svizzera, Belgio, la Spagna con 16 settimane), a conferma che il ruolo dei padri svolge un ruolo decisivo per qualificare le politiche familiari di un Paese. Anche in questo caso, un lento processo di miglioramento, che però chiede nel nostro Paese una decisa accelerazione.

Questa corresponsabilità paterna è una delle sfide più importanti delle famiglie di oggi, che richiama non solo l’urgenza di politiche familiari più mirate e consistenti, ma anche la necessità di un mutamento di sguardo da parte di tanti giovani padri. I dati sembrano confermare questo lento ma costante mutamento: sono sempre più numerosi i giovani padri che riscoprono non solo la bellezza della paternità, in un maggior impegno nella cura quotidiana dei propri figli, ma anche la bellezza di una maggiore condivisione con le madri, che consente di approfondire e riscoprire il progetto di alleanza e di compagnia di coppia, origine anche della scommessa della genitorialità.

*Direttore del Cisf - Centro internazionale studi famiglia

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