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giovedì 12 giugno 2025
 
Congedo maternità
 

Congedo maternità, diventa operativa la norma che consente di lavorare fino al parto

14/12/2019  La circolare numero 148 dell'Inps definisce le regole per fruire del congedo di maternità: da ora in poi sarà possibile decidere di prendere i cinque mesi obbligatori tutti dopo il parto, a patto che ci sia un nullaosta medico che garantisca che non ci sono rischi per mamma e bambino. La novità, approvata con la scorsa finanziaria, ha fatto discutere per timore di abusi.

Diventa operativa la norma che consente alle mamme in attesa di decidere se fruire del congedo maternità obbligatorio per intero dopo il parto lavorando fino al termine della gravidanza. L’Inps ha infatti pubblicato la circolare attuativa che rende effettiva una norma, approvata con la scorsa finanziaria, e discussa all’epoca dell’approvazione per il timore che possa dare adito ad abusi, riducendo di fatto le tutele per la mamma e per il nascituro, nel caso la scelta sia “libera” solo formalmente e non condizionata in qualche modo dalla realtà lavorativa e dalle condizioni socioeconomiche. Ecco come funziona.

Le donne che vorranno lavorare fino al nono mese di gravidanza e prendere il congedo di maternità obbligatorio di cinque mesi «esclusivamente dopo il parto» potranno fare domanda all’Inps prima dei due mesi che precedono la data presunta del parto. Lo chiarisce l’Inps in una circolare sulla discussa norma della legge di Bilancio per il 2019 che prevede la possibilità di lavorare fino al nono mese di gravidanza e di astenersi dal lavoro nei cinque mesi successivi al parto. Ci deve essere un parere medico che certifichi che tale opzione non arreca pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro. «È riconosciuta alle lavoratrici» si legge nella legge di Bilancio per il 2019, «la facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto entro i cinque mesi successivi allo stesso, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro».

La norma è entrata in vigore il primo gennaio 2019 ma solo ora se ne conoscono le regole di attuazione: con la circolare 148 l’Inps dà infatti le istruzioni operative e quindi sblocca le domande eventualmente già arrivate e accetta le nuove domande. La documentazione sanitaria deve essere acquisita dalla lavoratrice nel corso del settimo mese di gravidanza. «Le certificazioni che conterranno il solo riferimento alla data presunta del parto», si legge nella circolare, «saranno ritenute idonee a consentire lo svolgimento dell'attività lavorativa fino al giorno antecedente alla data presunta del parto, con conseguente inizio del congedo di maternità dalla data presunta stessa, e per i successivi cinque mesi».

Nel caso di parto successivo alla data presunta i giorni tra la data presunta e il parto "sono conteggiati nel congedo di maternità ma non possono essere indennizzati in quanto regolarmente retribuiti dal datore di lavoro e coperti sul piano degli obblighi contributivi».

L’interdizione dal lavoro per gravi complicanze della gravidanza «è compatibile con la facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto, purché i motivi alla base della predetta interdizione cessino prima dell’inizio del congedo di maternità prima del parto». Invece l’insorgere di un periodo di malattia prima dell’evento del parto, tra il settimo e il nono mese, «comporta l'impossibilità di avvalersi dell’opzione». Nel giorno di insorgenza dell’evento morboso (anche qualora fosse un singolo giorno), la lavoratrice gestante inizia il proprio periodo di congedo di maternità e le giornate di astensione obbligatoria non godute prima si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto. La lavoratrice può rinunciare alla scelta di avvalersi di tale opzione solo prima dell’inizio del periodo di congedo di maternità ante partum. Qualora, tuttavia, la lavoratrice gestante manifestasse la decisione di non volersi più avvalere dell’opzione dopo l’inizio del periodo di maternità ante partum, il congedo di maternità indennizzabile sarà computato secondo le consuete modalità (due mesi ante partum e tre mesi post partum). Quindi i periodi prima del parto lavorati prima della rinuncia saranno comunque computati come periodo di maternità, ma non saranno indennizzati poiché la lavoratrice non si è astenuta dall’attività lavorativa».

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