Michael Connelly, 56 anni fra un mese, è uno dei maestri del thriller. Ogni suo libro diventa un bestseller. Lo scrittore di Philadelphia ha pubblicato oltre venti romanzi apprezzati dai lettori in tutto il mondo. Il suo successo si riassume in un paio di cifre: oltre 45 milioni di copie vendute e traduzioni in 39 lingue. Incontriamo Connelly a Roma, dove è stato invitato dal Festival delle Letterature e dove presenta il suo ultimo romanzo tradotto in Italia: Il respiro del drago (360 pagine, 19,90 euro, Piemme Edizioni).
Gli ingredienti sono quelli classici di Connelly: un fatto di sangue, Los Angeles, le indagini del detective Harry Bosch. Ma questa volta Bosch viene toccato nei suoi affetti più cari, entra in gioco la figlia Madeline, e la vicenda si sposta oltre il Pacifico, fino a Hong Kong. Si resta fino alla fine con il fiato sospeso. Il nostro incontro con Connelly avviene a poche ore dalla notizia della morte di Rodney King, il tassista afroamericano che nel 1992 venne fermato e picchiato selvaggiamente da una pattuglia di polizia a Los Angeles. Quel pestaggio e l'assoluzione degli agenti scatenarono la violenta reazione della comunità nera di Los Angeles. La rivolta e gli scontri provocarono 55 morti.
Connelly, lei seguì la vicenda di Rodney King da giornalista e poi l'ha inserita anche in alcuni suoi romanzi. Che cosa ha provato alla notizia della morte di King?
“La notizia mi ha colpito perché c'è una coincidenza sorprendente. Proprio venerdì scorso, prima di partire per l'Italia, ho finito di scrivere un nuovo libro dove in parte rievoco i fatti del 1992 a Los Angeles. Così ero tornato a calarmi in una vicenda che avevo seguito molto bene da giornalista. Non avevo mai incontrato personalmente Rodney King, ma la sua storia fa davvero parte della mia vita professionale”.
In questi vent'anni Los Angeles è molto cambiata?
“Mi sembra di sì. Il dipartimento di polizia è molto migliore rispetto al passato e i rapporti fra le varie comunità sono meno conflittuali. Nel 1992 la comunità nera si sentiva davvero molto isolata. Quindi i progressi ci sono stati, ora però la crisi economica potrebbe far emergere nuove forme di isolamento e nuove tensioni, perciò non mi sento di escludere possibili conflitti in futuro”.
Perché grandi città come Los Angeles, New York, Chicago o Miami sono sempre lo scenario ideale per i romanzi criminali?
“Forse perché nelle grandi città si concentrano le fratture sociali, prolifera la corruzione, è evidente il contrasto fra i sogni infranti e quelli realizzati. Tutto questo è molto visibile a Los Angeles, dove si nota subito chi è ricco e chi è povero. Certamente questi attriti non sempre sfociano in fatti criminali, ma creano un ambiente favorevole al crimine”.
Nella sua attività di scrittore quanto conta il suo passato di giornalista?
“E' importantissimo. Se non avessi fatto il giornalista, noi adesso non saremmo qui a parlare, perché non farei il lavoro che faccio. Durante la mia esperienza come reporter ho conosciuto il mondo che ora racconto nei miei libri”.
E quanto conta per lei l'influenza di un grande scrittore come Raymond Chandler?
“Chandler ha avuto una grandissima influenza, per me è stato fondamentale. Ma è chiaro che lui resta un modello irraggiungibile, perché i suoi libri sono davvero delle opere d'arte”.
Come mai i romanzi di vicende criminali hanno così tanto successo in ogni epoca e in ogni continente?
“Davvero non lo so. Io scrivo semplicemente quello che mi è sempre piaciuto leggere. Sono storie nelle quali molto difficilmente potremmo ritrovarci nella vita reale, storie di violenza e di enormi pericoli. Forse ci attrae proprio questo, sfiorare un pericolo che forse non ci potrà mai toccare”.
Come si spiega il suo enorme successo?
“Difficile capire il motivo di questo successo, io all'inizio volevo solo scrivere storie. Non avevo nessuna idea di quello che sarebbe accaduto. Volevo raccontare la storia di un uomo che cerca di dare un senso al suo mondo, a Los Angeles. Mi è parso incredibile che questo tipo di storia potesse piacere anche al di là dell'oceano. Certo conta anche la fortuna, ci sono tanti scrittori senza dubbio più bravi di me, eppure non sono mai stati tradotti in 39 lingue. E' un mistero incomprensibile, di fronte al quale non mi resta che tenere la testa bassa e continuare a scrivere altre storie”.
Un giorno dirà addio al suo detective Harry Bosch?
“Mi sembra inevitabile. Non è più realistico avere sempre lui come protagonista. Già in questo libro uscito in Italia, Il respiro del drago, vediamo che la figlia di Bosch assume un ruolo sempre più importante. Questo ruolo crescerà nei prossimi libri e Bosch starà un po' più sullo sfondo”.
Che consigli darebbe a un giovane scrittore?
“Gli darei due consigli. Primo: ogni giorno metti benzina nel tuo serbatoio, cioè leggi molto per mantenere sempre viva la tua ispirazione. Secondo: scrivi ogni giorno, magari anche un solo paragrafo, ma scrivi. In fondo non è difficile, no?”.