Un altro mese e mezzo di carcere duro. Incredulità, impotenza e rabbia. Sono i sentimenti comuni dopo l’ultima, l’ennesima proroga della detenzione in carcere di altri 45 giorni per Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’università di Bologna, arrestato e torturato più d’un anno fa al Cairo, di ritorno dal capoluogo emiliano, dove frequenta un master, con l’accusa, ancora tutta da provare, di propaganda sovversiva per alcuni post su Facebook che il giovane ha sempre dichiarato falsi.
La notizia, di poche ore fa, è stata data dall’ong per la difesa dei diritti umani Eipr per la quale lavorava Zaki. Per il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury, la proroga della carcerazione è “un accanimento crudele che deve finire subito. Si tratta di una carcerazione immotivata, arbitraria e illegale di un prigioniero di coscienza a cui non è neppure data la possibilità di difendersi”. Neanche la salute precaria del padre di Patrick ha indotto i giudici ad aprire le porte del carcere di Tora dov’è rinchiuso il giovane oramai da 390 giorni. Ricordiamo che le accuse rivolte allo studente sono quelle che solitamente il regime di Al Sizi rivolge ai dissidenti o a chi è critico nei confronti del governo. Secondo Amnesty Zaki rischia, per questo, fino a 25 anni di carcere.
Il 25 agosto scorso, per la prima volta da marzo, Patrick aveva potuto avere un breve incontro con sua madre. Nei mesi precedenti la famiglia aveva ricevuto da Patrick solo due brevi lettere a fronte delle almeno 20 che lo studente aveva scritto e inviato. Dopo estenuanti rinvii, le prime due udienze del processo si sono tenute solo a luglio. Nella seconda, risalente al 26 luglio, Zaki ha potuto vedere per la prima volta i suoi avvocati dal 7 marzo. In quell’occasione Patrick è apparso visibilmente dimagrito. Lo stillicidio dei rinvii continua.
Proprio pochi giorni fa 160 mila firme raccolte sulla piattaforma Change.org dagli attivisti di “Station to Station”, col sostegno bipartisan di molti parlamentari, sono partite da Bologna alla volta della capitale con la richiesta rivolta al presidente della Repubblica e al presidente del Consiglio Mario Draghi di attribuire la cittadinanza onoraria allo studente egiziano. Certo l’iter per la concessione della cittadinanza non è semplice, ma un rapido ok in questo senso sarebbe un segnale finalmente inequivocabile della volontà, espressa finora con generiche affermazioni di principio, di tutela e di appoggio dell’Italia allo studente dell’ateneo bolognese e alla sua famiglia.
Anche i sindaci italiani si sono uniti a questa campagna e a quelle promosse dal Comune e dall’Università di Bologna, a quella di Amnesty International e di tante altre associazioni che si sono attivate per Zaki, per chiederne la scarcerazione immediata e incondizionata. E chiedono sia aperta un’indagine indipendente sulla tortura subita dallo studente di Bologna e garantita la sua protezione.
Ma gli appelli, ormai, non bastano più. Oramai è evidente che solo la pressione internazionale e le diplomazie ai più alti livelli potranno far cambiare idea a governo e Procura Suprema egiziane. Ma con quali strumenti? “Non ci facciamo illusioni. Sappiamo bene che difficilmente Italia, Francia e Germania interromperanno i rapporti commerciali con l’Egitto. Ma solo la pressione della comunità internazionale può far cambiare le cose per i 60 mila oppositori in carcere e per Patrick”, ha affermato Hossam Bahgat, il giornalista investigativo egiziano fondatore della Eipr, che ora si occupa della sua difesa. “La prigione di Tora, dov’è rinchiuso Patrick, è un vero e proprio lager per gli oppositori, come i campi di rieducazioni cinese. Attraverso queste detenzioni politiche si rafforza il regime di terrore sia come arma all’interno che all’esterno”.