Di quel triangolo si sapeva,
lo chiamavano il
triangolo dei veleni. Il
perimetro va da Acerra a
Nola a Marigliano, 1.076
chilometri quadrati, 57
Comuni che un articolo
di dodici anni fa della
più prestigiosa rivista medico-scientifica del mondo, The Lancet, chiamava
“Triangle of death”, triangolo della
morte. L’Oms, l’Organizzazione mondiale
della sanità, l’anno prima aveva
pubblicato un Rapporto nel quale
spiegava che qui il numero di alcuni
tumori superava di due, tre, quattro
volte la media nazionale italiana. E
diceva che le zone a maggior rischio
erano quelle dove si trovano discariche
senza controllo e dove da anni che
erano avvenuti sversamenti di rifiuti
altamente tossici.
Era il 2003 e Loredana Barisciano se la ricordano bene i medici
dell’Istituto tumori Pascale di
Napoli. Allargava le braccia e aveva
gli occhi colmi di lacrime. Per Enrico,
8 anni, non c’era più niente da fare. Il
male lo stava portando via in dieci
mesi. Lei non sapeva nulla del triangolo
dei veleni. Anzi, per scappare
dall’inquinamento era venuta ad abitare
in campagna.
Terra di lavoro, Campania Felix, sole
e verdure. Ha capito tutto nei mesi
della lunga via crucis in ospedale, ricoveri
e chemioterapie devastanti. Ha
capito tutto perché ha visto le altre e i
loro figli, bambini di quattro, cinque,
sei anni con la luce vuota negli occhi.
Come Ida Pariante che ha visto scivolar
via Martina a nove anni, dopo tre
anni di sofferenza. Come Anna Guarino
che ha perso Salvatore sette anni
fa. Come Pina Palma che non ha più
Francesca. Non si conoscevano, ma
abitavano tutte qui in questo triangolo
che ti toglie finanche il diritto al
respiro, che ti prende alla gola con la
puzza strisciante nell’aria.
Per la gente è la Terra dei fuochi,
perché i rifiuti a un certo punto
hanno preso a bruciarli. Loro sono le
mamme della Terra dei fuochi, quelle
che parlano dei loro figli con i verbi al
presente, esattamente come le madri
argentine di Plaza de Mayo. Sono le
mamme di Caivano, di Villaricca, di
Casaluce, di Casalnuovo, di Afragola,
di Gricignano di Aversa, tante, troppe
con le foto dei figli in tasca, con le immagini
felici e con quelle della tragedia,
la testa senza capelli, la mascherina
bianca sul volto, un camice azzurro
in una stanza sterile d’ospedale. Te le
mostrano sullo schermo del telefonino
senza pudore, perché tu le inchiodi
alla mente e ai polpastrelli. È questa la
loro impresa: non dimenticare e non
permettere che il Paese lo faccia.
Con loro c’è un prete di quelli tosti,
don Maurizio Patriciello, che l’orrore
della Terra dei fuochi ostinatamente
tiene all’attenzione della nazione, anche
se, dice, «qui si fa un passo avanti
e due indietro». Possiede solo un’arma,
don Maurizio, ed è la parola
che alza come una invettiva e fa
scorrere piana nei libri e negli articoli.
L’ultimo è questo: storie di madri e
della loro terra, storie di fuochi assassini,
storie di bambini perduti, storie
dell’assenza dello Stato e di topi che
ballano, industriali e camorristi, tutti
criminali.
Le mamme s’incontrano nella
sua chiesa, sentinella che sta vicino
a chi non è ascoltato da nessuno nel
Parco Verde di Caivano, intreccio di
sofferenza e di resistenza, disoccupazione
al 90 per cento e lavoro
pronto apparecchiato solo dalla
camorra. Domanda: «Come si fa a
dire un giorno che la Terra dei fuochi
uccide e il giorno dopo negarlo?
A che gioco giochiamo?». Don
Patriciello denuncia l’inganno di
studi che non si fanno, di responsabilità
che vengono attribuite agli
stili di vita, sigarette in quantità e
cibo gramo di bassa qualità.
Lui, le mamme e un pugno di
medici che da anni denunciano la
folle filiera di morte sono l’unico
presidio di quello che il presidente
della Repubblica Sergio Mattarella
ha definito «l’emblema del
degrado italiano». Perché da quasi
vent’anni i medici per l’ambiente
e i comitati dei cittadini parlano,
scrivono, a volte urlano. Li ha
ascoltati solo il ministro della Salute
del Governo Monti, il professor
Renato Balduzzi, che un giorno,
per rendersi conto di quello che
accadeva, arrivò una mattina, da
solo, con un’auto presa a noleggio,
senza scorta per ascoltare i medici
e la gente e per camminare tra il
fango fumante della Terra dei fuochi.
Ricorda don Patriciello: «Mai
era accaduto e se ne andò con le
lacrime agli occhi. Gli dissi “ci aiuti,
la prego, a uscire da questo incubo”
». Balduzzi invitò i medici di
qui a partecipare alle commissioni
del ministero e Patriciello esultò:
«Stava accadendo qualcosa di veramente
importante, bello, democratico,
la verità stava per venire
alla luce scansando la menzogna.
Poi purtroppo cambiò il ministro e
tutto o quasi è tornato nell’oblio».
Sta accadendo ciò che il vescovo
di Aversa, monsignor Angelo
Spinillo, aveva messo in conto:
«Tra allarmismo e negazionismo
vincerà l’immobilismo». Patriciello
lo ha detto anche a Matteo Renzi,
che la Terra dei fuochi nemmeno
sapeva dove fosse e al sacerdote
cercò di rifilare la bufala dei 450
milioni stanziati per la discarica
di Taverna del Re, quella per le ecoballe
a Giugliano, come la soluzione
per i problemi di qui: «Lo incontrai
a Caserta e gli spiegai almeno
la geografia».
Adesso a lottare per la verità ci
sono anche le mamme e nessuna
più di loro sa come si fa. Perché non
c’è forza più grande di quella di una
madre che ha sentito il proprio figlio
dire con l’ultimo filo di voce:
«Mamma, aiutami…».