Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, in un intervento scritto per il Guardian, ha denunciato con potenza e stile profetici il fatto che la pandemia della salute sta provocando una pandemia dei diritti umani. Aprendo la XLVI sessione dei lavori del consiglio di tale organizzazione mondiale, aveva altresì affermato che l’incapacità di garantire equità nella campagna vaccinale contro Covid-19 a livello globale è “l’ultima indignazione morale” emersa dalla pandemia.
Già sembrano riecheggiare le voci di quanti ripetono che istituzioni come l’ONU sono solo pletoriche e del tutto inutili. Ma forse si può trattare della necessità dell’inutile, qui ed ora. La denuncia ci pone di fronte alla possibilità, non del tutto remota che il virus diventi un alibi, per chi detiene il potere, onde poterlo non solo conservare, ma soprattutto rafforzare, alimentando paure, sospetti, diffidenze, che finiscono col generare sottomissioni, rinunce, silenzi. Abbiamo già in queste pagine parlato di “fragile armonia”, in rapporto alla democrazia. Qui non si tratta solo di contesti di estremismo o di fondamentalismo populista, ma del fatto che tutti ci sentiamo depauperati e impotenti. Da questa marginalizzazione si eleva il grido, che richiede ascolto, verso l’Altissimo, ma anche verso i poteri alti di quanti, senza aver ricevuto alcun mandato, pretendono di governarci e di interferire con le nostre esistenze quotidiane.
Non può non far pensare quanto, nella conclusione del suo intervento, ha scritto il segretario dell’ONU: «Non è il momento per trascurare i diritti umani; è un momento in cui, più che mai, i diritti umani sono necessari per affrontare questa crisi in un modo che ci consentirà di concentrarci sul raggiungimento di uno sviluppo inclusivo e sostenibile e di una pace duratura». E ancora: «Siamo tutti insieme in questo. Il virus minaccia tutti. I diritti umani elevano tutti. Rispettando i diritti umani in questo momento di crisi, costruiremo soluzioni più efficaci ed eque per l’emergenza di oggi e per la ripresa di domani. Sono convinto che sia possibile, se siamo determinati e lavoriamo insieme».
Viene in mente la famosa espressione della II lettera ai Tessalonicesi 2, 6-7, dove si evoca la figura, cara a Massimo Cacciari, del “potere che frena”: «E ora voi sapete che cosa lo trattiene perché non si manifesti se non nel suo tempo. Il mistero dell'iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo colui che finora lo trattiene». Il potere, soprattutto politico ed economico, ma soprattutto finanziario, ha il compito di frenare il mistero dell’iniquità. Lo sta facendo, mettendo in campo i suoi uomini migliori e le sue più raffinate risorse. Fa il suo mestiere nel tentativo di evitare la catastrofe, Ma ne dobbiamo essere consapevoli. La leva che sta usando, anche nel nostro Paese, è soprattutto quella dell’economia e della finanza, visto che ha affidato a tecnici di indiscussa professionalità i dicasteri attinenti a tali ambiti. Intanto la scuola continua a languire e, a parte qualche intervento di facciata, i ragazzi e le famiglie restano in balie di se stessi e gli esami di grado saranno una fotocopia di quelli precedenti. È solo un esempio, ma decisivo, per non cedere alla tentazione dell’indignazione di fronte a quella che papa Francesco ha chiamato la “catastrofe educativa”.
Ma, se il potere in fondo non fa altro che frenare, ovvero sta svolgendo il suo lavoro, perché non andiamo a sbattere contro il muro della distruzione, dobbiamo al tempo stesso chiederci chi e come detiene il pedale della frizione e dell’acceleratore, in questo momento così drammatico. Bisognerà cambiare marcia, chi ne avrà il coraggio e la forza? Tutti noi, in quanto, mentre continuiamo a rivendicare i nostri diritti di cittadinanza, mettiamo in atto gesti simbolici, ma efficaci, di rinascita. Penso ad esempio al gesto dell’infermiere islamico Maher Ibrahim che ha avuto il coraggio di recitare la preghiera ebraica dello Shemà al cospetto di un moribondo ebreo. Ma anche agli infermieri e ai medici che hanno raccolto le ultime volontà di moribondi che mandavano a dire alle persone amate il loro amore o indicavano il modo di celebrare le loro esequie.
Abbiamo bisogno di mettere insieme il “potere che frena” con la “democrazia della solidarietà”, perché possiamo continuare ad abitare questa meravigliosa terra che ci è stata donata. Purtroppo, i due mondi rischiano di ignorarsi e di fatto sembrano procedere in parallelo. Questa asimmetria potrà in qualche modo superarsi solo a partire dall’attenzione e dalla non retorica partecipazione alla vita reale di persone, che, nonostante la politica e i suoi intrighi, continuano a sperare.