Si torna a discutere di salvezza. Dopo la caduta delle
ideologie e dopo essersi interrogati negli ultimi tre Congressi sul come fare
teologia, oltre 150 studiosi, dal 31 agosto e fino al 4 settembre, ad Assisi,
si incontrano su questo tema.
«Lo avevamo già affrontato nel 1975», spiega il presidente
dell’Associazione teologica italiana, don Roberto Repole, «ma allora il
problema era il confronto con le forti ideologie dell’illuminismo, del
marxismo, del positivismo e ci si chiedeva in che senso esiste una salvezza
cristiana perché quelle ideologie avevano la pretesa di portare salvezza».
E dopo il 1975?
«Ne abbiamo ridiscusso nel 2003, ma in un altro contesto,
cioè quello del rapporto con le altre religioni. L’accento cadeva di più sulla
figura del Salvatore e sul modo in cui possiamo dire la specificità della
salvezza del cristianesimo a partire dal fatto che l’unico Salvatore è il
Cristo. E dunque come mantenere questo aspetto nel confronto con le altre
religioni».
Perché avete di nuovo scelto questo tema?
«Perché è diventato centrale per molti motivi. La questione
è molto attuale anche perché viviamo in un tempo in cui c’è una multiforme
ricerca di spiritualità che, da un lato può esprimere una autentica ricerca
salvifica, dall’altro c’è un punto interrogativo rispetto alla salvezza portata
da Gesù Cristo. Oggi il problema della salvezza si pone non più in modo
unitario e teorico, ma in forma di costellazione e in maniera molto pratica. Un
primo aspetto su cui mi soffermerei è che proprio la fine delle grandi
ideologie mette alla ribalta la questione della finitudine umana con un doppio
risvolto. Da una parte c’è chi dice che la salvezza cristiana rimane oggi
soltanto in una accoglienza della finitudine creaturale così come si dà, qualcuno
dice che bisogna tornare a essere pagani , scegliere di essere come i pagani
che si accontentano di vivere in una finitudine vissuta in un orizzonte di
carità. E questo chiede che noi mostriamo che il Salvatore ha cura della
finitudine della nostra creaturalità, ma, allo stesso tempo, questo chiede un
profondo discernimento perché c’è da domandarsi se, in fondo, l’uomo non abbia
proprio bisogno di essere salvato per diventare capace di carità, capace di
abitare questo mondo. In altri termini se questa carità non abbia
intrinsecamente da fare con la fede, con la speranza in una pienezza di umano
che c’è offerta in Gesù Cristo risorto».
E un secondo aspetto?
«Viviamo in un tempo in cui l’urgenza di un ritorno alla
salvezza è data dall’antropologia sottesa alla visione di società di mercato
che si è andata imponendo. Stiamo vivendo all’interno di una profonda crisi
economica, ma è sempre più evidente che questa crisi economica è una crisi di
figura dell’umano, è una crisi antropologica. Sembra quasi che il modello
antropologico che sta sotto questa crisi economica e sociale è un modello che
dice che l’uomo è strutturalmente egoista, che la natura è avara, che non ce n’è
per tutti, che in fondo siamo mortali e che bisogna arrangiarsi e, soprattutto,
che questo richiede sempre del sacrificio. Allora credo che questo ci stimoli a
interrogarci se questo umano chiede di essere salvato, se la crisi economica
che stiamo vivendo, più profondamente , non sia una crisi di uomo che chiede
salvezza pur in maniera non così esplicita».
Affronterete anche l’aspetto della tecnica. Cosa c’entra con
la salvezza?
«È un aspetto interessante perché nell’antichità, per esempio
in Aristotele, c’era una sequenza chiara: prima la teoria, poi la prassi e
infine la tecnica. Oggi sempre che questa sequenza si sia quasi invertita per
cui noi parliamo di tecno scienza. Però questa tecnica sembra aver preso spesso
il posto dell’uomo con la possibilità addirittura che il nichilismo nel quale
qualcuno dice la tecnica sfocia diventi l’unica prospettiva di salvezza per l’uomo
di oggi. Anche questo chiede di pensare la questione della salvezza».
Parlerete anche di ambiente?
«Si, questa è un’altra dimensione che il Papa ha messo
in evidenza nell’enciclica Laudato si’. Anche nella questione della crisi
ecologica che colpisce soprattutto i più poveri, nella questione della sopravvivenza
anche per il cosmo, c’è da chiedersi se questa sopravvivenza sia possibile se
non si mette a tema proprio la questione della salvezza».