“Non lasciatevi rubare il sogno e la speranza di cambiare il mondo con il Vangelo”. In queste parole di papa Francesco, che ha ricevuto in udienza stamattina i quasi 900 partecipanti al quarto Convegno missionario nazionale, è condensato il mandato affidato al variegato mondo missionario italiano, riunito in questi giorni, fino a domani, a Sacrofano, nei pressi di Roma.
Ma qual è lo stato di salute di questa complessa realtà? E quali indicazioni sono emerse per il futuro dal convegno? Abbiamo girato queste e altre domande a padre Giulio Albanese, missionario comboniano, direttore di “Popoli e missione” della fondazione Missio.
“Il convegno di Sacrofano ha mostrato, a mio avviso, luci e ombre del panorama missionario italiano. Ancora una volta, è emerso, dalla viva voce dei partecipanti, il tesoro grande di umanità e di fede che l’esperienza missionaria consegna ai protagonisti e, tramite loro, alle Chiese da cui missionarie e missionari sono stati inviati. Al tempo stesso è venuta fuori tutta la fatica che il mondo missionario compie nel “contagiare” della passione per la “missione ad gentes” la Chiesa italiana nelle sue varie articolazioni”.
In che senso?
“C’è ancora grande stima per il lavoro di missionarie e missionari, ma la pastorale ordinaria non ha ancora assunto pienamente come orizzonte di riferimento” l’atteggiamento missionario a cui fa riferimento l’icona biblica di Giona al centro di questo convegno, ossia l’apertura a 360 grandi ai “lontani”. Lontani, apparentemente inavvicinabili, erano gli abitanti di Ninive per il profeta: eppure Dio chiama Giona e lo sfida: “Alzati e va’ ”: la grande città, violenta e malvagia, non è estranea alla misericordia di Dio, come ci ha ricordato anche il Papa. Sacrofano, da questo punto di vista, rilancia l’idea che la missione è una: c’è un qui e un là, c’è la missione alle genti, ma c’è anche l’accoglienza e l’evangelizzazione degli immigrati. Tutto ciò non corrisponde a due diversi “settori” dell’azione della Chiesa, ma obbedisce a un unico dinamismo missionario”.
Da più parti si lamenta un calo di interesse per la missione. I numeri, poi, sono lì a dire che c’è una crisi vocazionale forte. Cos’ha detto Sacrofano su tutto questo?
“La crisi vocazione è vistosa. Basti pensare che al convegno missionario del 1990 a Verona i missionari, complessivamente considerati, erano 24mila; oggi siamo a circa novemila. Nel frattempo i laici (aderenti a gruppi, associazioni e movimenti) sono cresciuti, passando da 700 a 3.000 circa, mentre sono calati sia i fidei donum che i membri degli istituti missionari. Tutto ciò deve indurre a riflettere molto, molto seriamente. A mio parere a Sacrofano su questo punto l’attenzione non è stata sufficiente”.
Da più parti si è chiesto che venga favorito in tutti i modi il contatto diretto con la missione ad gentes, nella logica del “vieni e vedi”. Ci sono seminaristi che chiedono di fare un periodo in missione prima dell’ordinazione; uno dei relatori, il professor Mauro Magatti della Cattolica, ha indicato l’Erasmus, invitando la Chiesa a sfruttare meglio la sua rete globale per educare all’universalità. Può funzionare?
“Sì, il contatto diretto con l’esperienza missionaria è indubbiamente positivo e auspicabile perché apre gli orizzonti degli occhi e del cuore. Ma dico “no” al turismo missionario: ogni partenza per gli altri continenti, per essere feconda, per lasciare traccia oltre le emozioni, va preparata con cura”.
Quello missionario è un mondo ricco. Ma appare un po’ frantumato al suo interno, no?
“Non v’è dubbio che la realtà missionaria italiana sia contrassegnata da un’estrema vivacità e ricchezza (citata anche da papa Francesco), vivacità che, però, ha bisogno di trovare maggiore unità. E’ una galassia che ha bisogno, per così dire, di “fare cartello”. E credo che Missio, l’organismo della Cei per la missione, possa contribuire in questa operazione di coordinamento, valorizzando i diversi carismi ma in uno stile di comunione, evitando di cadere nei particolarismi”.
Un’esigenza di maggior unità si è avvertita, da parte di molti durante i lavori del convegno, anche per quanto attiene alla preoccupante situazione dell’editoria missionaria. Che ne pensa?
“Penso che, in un mondo che da tempo è villaggio globale, l’informazione rappresenta la prima forma di solidarietà, di una solidarietà adulta che va oltre il dato emotivo ma che vuol capire le situazioni, leggere e interpretare i fenomeni e i “segni dei tempi”. Detto ciò, è chiaro che solo unendo le forze, facendo “massa critica” si potrà essere più incisivi in un panorama mediatico come l’attuale”.