Tampa (Florida) - E’ andato tutto secondo copione, un pò come alla Notte
degli Oscar: applausi, risate, qualche lacrima (non troppe però) che arrivano
al punto giusto, già previste – addrittura scritte tra un paragrafo e l’altro
- nei discorsi dei vari testimonial,
che scaldano la platea, fisica e soprattutto televisiva, per i candidati
a vice, prima, e a presidente poi. Niente di nuovo insomma sotto il sole di
Tampa, uscito anche lui dopo le piogge portate dalle propaggini dell’uragano
Isaac a salutare la candidatura a presidente per il partito Repubblicano che
Mitt Romney ha formalmente accettato ieri sera, con quello che tutti gli
analisti definivano, a ragione, il discorso piu’ importante della sua vita –
politica, se non altro.
E lui, il miliardario mormone, organizzatore delle Olimpiadi
invernali del 2002, ex governatore del Massachusetts, “delivered” come dicono
gli americani. Letteralmente si traduce “ha consegnato” ma significa:“è stato
all’altezza della situazione” o “ non ha tradito le aspettative”. E infatti,
Mitt Romney ha consegnato, appunto, in tempo e nel migliore dei modi il pacco
che i Repubblicani aspettavano.
Un discorso, quello di Romney ai 50,000 del
palazzetto di Tampa che dopo quattro anni di frustrazioni economiche, di crisi
nera dell’economia, con ricadute senza precedenti sull’occupazione e sul
mercato immobiliare promette, con toni che rimandano all’indimenticato (almeno
in casa repubblicana) Ronald Reagan, una riscossa fatta di libera intrapresa,
iniziativa privata in tutti campi (sanità e istruzione comprese), tagli alle
tasse e agli interventi statali (esclusa ovviamente la Difesa), sfruttamento
intensivo delle risorse naturali su suolo americano. Il tutto, dice lui,
porterà, se eletto, almeno, alla creazione di 12 milioni di nuovi posti di
lavoro nei prossimi 4 anni.
Tutti temi cari, da sempre, al popolo repubblicano, sciorinati
(ma è normale trattandosi di una convention) più nei concetti che nei
programmi – i secondi piu’ difficili da mantenere dei primi in caso di successo
elettorale. Ma Romney ieri sera non parlava solo ai suoi fedelissimi. A Tampa
c’era da ricompattare un partito lacerato al suo interno da una durissima stagione
di primarie dove molti iscritti rischiavano di sanguinare dal naso a forza di
tapparselo nell’ascoltare i discorsi di Mitt.
Non a caso nei giorni precedenti di convention (accorciata da quattro a tre giorni dalla minaccia dell’uragano Isaac) avevano parlato in suo favore Rick Santorum e Newt Gingrich, i diretti rivali “in casa” che nella prima metà dell’anno non gli avevano risparmiato colpi bassi (ma è normale trattandosi di una convention). Poi c’era da sfatare quell’immagine di businessman freddo e distaccato, tutto calcoli e quattrini; ed ecco la moglie Ann, martedì sera ricordare quando si sono sposati giovanissimi, poco credibile nel rievocare i tempi quando erano “poveri e felici” (povero Mitt Romney, con un padre governatore del Michigan e capo di una divisione della Chrysler, non è stato mai), molto di più quando tra le lacrime di tutto il palazzetto (e anche un po’ di chi scrive) ha raccontato il sostegno ricevuto dal marito durante la sua doppia lotta – vinta in entrambi i casi - contro sclerosi multipla e tumore al seno. Ancora lacrime, poi, durante il racconto di un anziana coppia del Massachusetts che ricordava la vicinanza di Romney, da sempre attivo nei programmi di volontariato della sua chiesa mormone, al loro figlio arresosi giovanissimo al cancro.
Poi la sera dopo, risate, un pò amare per la verità, suscitate dal sarcasmo del candidato vice, Paul Ryan, astro nascente del partito, di gran lunga più sciolto e carismatico del suo capo, mentre nel delineare i piani per abbattere il debito pubblico si faceva beffe dei fallimenti di Obama. Poco importa se alcuni dei fatti e dei numeri citati sono poi stati smentiti del tutto o in parte dagli attenti media americani (trattandosi di una convention è normale anche questo). Prima di lui la ex ministro degli esteri Condoleeza Rice (una delle pochissime donne di colore presenti) aveva fatto altrettanto, parlando, almeno lei senza inesattezze fattuali, di politica estera.
Poi, a sorpresa, a sbeffeggiare Obama senza filtri ci ha pensato, ieri sera, l’attore Clint Eastwood, repubblicano da sempre, e inossidabilmente “cool” (fico) anche nell’incepparsi mentre parla – spontaneo, almeno lui - a un Obama invisibile rappresentato da una sedia vuota. Ma con gli sfottò diretti alla Casa Bianca non si può e non si deve esagerare: dopo tutto Obama è ancora il presidente in carica e, piu’ che altro, ci sono in palio i voti degli indecisi, tanti ancora e, senza dubbio alcuno, quelli che il 6 novembre prossimo decideranno, in un senso o nell’altro, l’elezione.
Dunque quando arriva il suo turno Romney intelligentemente abbassa i toni. “Avrei voluto anch’io vedere Obama riuscire nel suo intento, ma purtroppo non è andata cosi’”, dice in apertura di discorso rivolgendosi a quella fetta di indecisi – e sono tanti anche loro - che dopo aver dato fiducia ad Obama ne sono rimasti delusi. E dopo tre quarti d’ora di racconti personali, elogi alle donne (alle quali secondo i sondaggi proprio non riesce a piacere) e all’intraprendenza dei singoli individui “nonostante” le ingerenze statali, riferimenti lampo ai temi morali cari ai repubblicani, le solite sviolinate all’America e alla sua grandezza interna e internazionale (con menzione - rara per un repubblicano - a John Kennedy, nel ricordare Neil Armstrong recentemente scomparso) ha concluso dicendo: “Obama ha promesso di fermare l’innalzamento degli oceani e di salvare la terra: io voglio aiutare voi e le vostre famiglie”.
Tutto secondo copione, come alla Notte degli Oscar, compresi i palloncini e famiglie sul palco – in questo caso con 18 nipotini all’attivo più numerose del solito. Tutto normale, trattandosi di una convention, che in fondo, più che per delineare piattaforme e programmi specifici, serve a entusiasmare la base in vista dell’elezione, e farsi un po’ di pubblicità gratuita presso chi davanti alla televisione sta decidendo se (in America l’affluenza alle urne è tremendamente bassa) e per chi votare.
Insomma anche stavolta Mitt Romnney “delivered”, ha “consegnato”, ai suoi, il pacco presidenziale in tempo, e nel miglior modo possibile. Visto il suo successo nella vita e nel business, sulla “consegna” non c’erano dubbi. Adesso resta da vedere se nei 67 giorni rimasti riuscirà a portarlo nelle case – facendosi firmare la ricevuta - di abbastanza votanti indecisi.