Convivo da dieci anni e ho un figlio di 8 anni. Non siamo sposati in chiesa né civilmente. Possiamo accostarci all’eucarestia?
Federico
Il Signore Gesù ha istituito il sacramento del suo Corpo e Sangue perché ci nutriamo di lui: «Prendete e mangiate... Prendete e bevete...». La Messa non è un semplice momento di preghiera, per quanto prezioso, ma è la Cena del Signore. I riti della Messa, dall’inizio alla fine, sono tutti in funzione della comunione: «Poiché la celebrazione eucaristica è un convito pasquale, conviene che, secondo il comando del Signore, i fedeli ben disposti ricevano il suo Corpo e il suo Sangue come cibo spirituale» (Messale, n. 80). Pertanto è comprensibile il disagio di Federico che, presente alla Messa, si sente impedito a condividere la stessa mensa eucaristica.
Per ricevere la comunione è necessario avere la fede, essere battezzati, vivere in uno stato di permanente conversione, cioè di sincero sforzo per vivere i valori evangelici, pur con tutte le fragilità, ed essere sacramentalmente riconciliati se consapevoli di peccato veramente grave. Ci sono, tuttavia, particolari e stabili situazioni di vita che, a prescindere dalla fede delle singole persone e dal loro agire quotidiano fondamentalmente evangelico, contraddicono l’ideale cristiano del matrimonio. Fra queste ci sono i divorziati risposati (ancora vivente l’altro coniuge), gli sposati solo civilmente e anche i conviventi. Per queste persone non è messa in dubbio la loro appartenenza alla Chiesa né la loro intima e responsabile comunione con Dio.
La severa disciplina ecclesiastica si preoccupa di non oscurare l’ideale evangelico del matrimonio. Tuttavia, i più recenti documenti magisteriali, specialmente a partire dal Sinodo dei vescovi su La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo (2015), sollecitano i pastori a considerare maggiormente le singole situazioni dette “irregolari”. Sollecitazione che papa Francesco fa propria nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia (2016): «Sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni» (n. 296). Riguardo agli sposati solo civilmente come ai conviventi, Francesco, citando il Sinodo, afferma: «Quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di superare le prove, può essere vista come un’occasione da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio» (n. 293).
Ora la situazione di convivenza descritta dalla lettera (e presupponendo che le due persone non abbiano già un precedente matrimonio religioso valido alle spalle) fa supporre una famiglia di fatto felice e feconda. Cosa impedisce di porre su questo amore il sigillo e la forza dello Spirito Santo per farne una visibile e chiara testimonianza di quell’amore indefettibile di Cristo per la sua Chiesa, più forte di tutte le inevitabili fragilità umane? Un colloquio con un pastore, dotato di saggezza e di intelligenza delle norme (e tanto meglio se da lui conosciuti), potrebbe aiutare questa coppia a iniziare un cammino per portare a evangelico compimento la loro unione coniugale e a vivere in pienezza la loro comunione anche alla mensa eucaristica (presupponendo che anche l’altra parte sia validamente battezzata).