Il pane accanto al Vangelo. L’attività economica di famiglia vissuta sempre con fede. L’attenzione ai poveri come segno irrinunciabile per un’azienda che oggi è un marchio noto in tutta la nazione. Con questo spirito i coniugi Giuseppe Lim Young-jin e Amata Kim Mi-jin, ferventi cattolici, portano avanti nella città sudcoreana di Daejeon la Panetteria del Sacro Cuore, fiorente attività economica nel campo della panificazione e della dolciaria, fin dal principio consacrata a Gesù Cristo. Con un sogno nel cuore: portare il pane della solidarietà ai fratelli coreani nel Nord, oltre la frontiera, per 60 anni invalicabile, del 38° parallelo.
Oggi, dati i segnali di distensione e la situazione di crescente ottimismo nei rapporti tra Nord e Sud Corea, quel sogno in effetti potrebbe diventare realtà. La loro azienda, racconta Amata Kim a Credere, è specchio della storia sofferente della penisola coreana. Le loro radici sono, infatti, al di là del confine.
Ambrogio Lim Gil-soon, padre di Giuseppe, nacque agli inizi del secolo scorso in un famiglia cattolica che risiedeva al Nord. Nel 1951 fu costretto a fuggire con sua moglie Margherita verso il Sud, mentre infuriava la guerra di Corea e a Pyongyang si imponeva un governo comunista, che penalizzava le libertà personali, inclusa quella religiosa. Tra i milioni di rifugiati, Ambrogio si ferma a Daejeon dove, per sopravvivere, avvia una piccola attività commerciale in strada. Animati dalla fede nella provvidenza di Dio, i due cercano un primo negozio di fronte alla cattedrale. Lì nasce il Sung Sim Dang o Panificio del Sacro Cuore.
IL PANE DONATO AI POVERI
In quel luogo, di fronte al tempio di Dio, dove si ascoltano le campane, l’esercizio economico può sposarsi con la preghiera, l’impegno ecclesiale, la carità. E diventa una strada di santità. Un giorno, infatti, Ambrogio apre la Bibbia e il passo di san Paolo apostolo ai Romani recita: «Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini». Quel passo illuminerà il suo cammino e diverrà il motto dell’azienda. Memori della loro storia, Ambrogio e Margherita danno un’impronta particolare al loro lavoro: con lo spirito di carità cristiana, tutto il pane e i prodotti che, la sera, restano invenduti vengono distribuiti ai bisognosi. Da un lato questo significa avere ogni giorno pane sempre fragrante, da vendere al dettaglio. Dall’altro è un segno per «restituire le benedizione ricevuta», e ricordare quotidianamente che «tutto quello che siamo e che abbiamo è un dono di Dio», spiega Amata, oggi manager dell’azienda. Il tiso, una speciale tipologia di pane fritto simile a una brioche, è un prelibatezza che ogni coreano conosce. E il marchio Sung Sim Dang è oggi un orgoglio nazionale, al pari di Samsung o Hyundai.
Certo, in 60 anni vi sono stati momenti difficili. Sul finire degli anni ’90, quando la crisi economica asiatica ha messo in ginocchio l’economia di molti Paesi industrializzati in Oriente, la tentazione di rimettere in discussione lo spirito delle origini e la filosofia cristiana, anima dell’azienda, è stata forte: «Alcuni ci dissero: il pane e i dolci non venduti potrebbero essere rimessi in commercio il giorno dopo, alla metà del prezzo. Almeno per coprire i costi di produzione. Non abbiamo voluto cedere: la donazione quotidiana è stata da sempre per noi un segno evangelico di fiducia in Dio. Abbiamo continuato con fede su questa strada. Il Signore ci ha aiutato e l’azienda, pian piano, ha ripreso a prosperare». Oggi il controvalore del pane donato a mense dei poveri o a centri Caritas ogni mese tocca i 30 milioni di won, circa 23 mila euro mensili.
AL CENTRO LA RELAZIONE
Alla scomparsa dei fondatori, Giuseppe e sua moglie Amata hanno proseguito l’opera iniziata. Si sono avvicinati, poi, alla spiritualità del Movimento dei Focolari, ritrovando nel modello dell’economia di comunione una proposta di gestione economica e aziendale vicina alla loro visione.
Con 12 punti vendita e oltre 400 impiegati, la compagnia è una realtà significativa nel panorama delle piccole imprese in Corea. Soprattutto è riconoscibile per lo spirito evangelico che la anima, sempre attento al benessere dei lavoratori, alla qualità del prodotto, alle ricadute benefiche sull’intera comunità.
«Al centro della nostra azienda mettiamo la relazione umana. Non perseguiamo la massimizzazione del profitto a ogni costo, ma un ricavo che contempli sempre il bene delle persone.
Un’azienda si alimenta con l’entusiasmo dell’intera comunità: e, prosperando, può offrire nuovi posti di lavoro. Per noi la vita della gente», rimarca Amata, «è il bene più prezioso».