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martedì 08 ottobre 2024
 
Domenica delle Palme
 

«Guardiamo ai veri eroi di questi giorni che, come Gesù, danno se stessi per servire gli altri»

05/04/2020  Nella Basilica di San Pietro vuota, Francesco celebra la Domenica delle Palme e invita tutti, «nel senso di abbandono che ci stringe il cuore», a guardare a Gesù che ci sostiene: «Il dramma che stiamo attraversando ci spinge a prendere sul serio quel che è serio e riscoprire che la vita non serve se non si serve. Perché la vita si misura sull’amore»

Il grido di Gesù sulla croce prima di morire («Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?») è il grido dell’umanità in questo momento di dolore, è il grido di ogni uomo e donna che soffre per la pandemia, è il grido di chi è segnato dal virus contro il quale sta lottando nella propria casa o in ospedale, è il grido di chi ha perso un familiare, un amico, una persona cara senza potergli nemmeno dire addio. È il grido dei medici e degli infermieri che, stremati, curano i malati con abnegazione e senso di responsabilità. È anche a loro che il Papa pensa quando indica ai giovani, nella Giornata della Gioventù che si celebra oggi a livello diocesano, i «veri eroi, che in questi giorni vengono alla luce: non sono quelli che hanno fama, soldi e successo, ma quelli che danno sé stessi per servire gli altri».

Francesco celebra la Domenica nelle Palme all’Altare della Cattedra nella Basilica di San Pietro vuota e a porte chiuse. Non ci sono, come ogni anno in piazza, i fedeli ad agitare, come quel giorno a Gerusalemme, i rami di palma e ulivo in ricordo delle folle di Gerusalemme che accolsero così Gesù in città alla vigilia della sua Passione e Morte. Ma la speranza cristiana, dice papa Francesco, è sorretta da una certezza più grande: «Oggi, nel dramma della pandemia, di fronte a tante certezze che si sgretolano, di fronte a tante aspettative tradite, nel senso di abbandono che ci stringe il cuore, Gesù dice a ciascuno: “Coraggio: apri il cuore al mio amore. Sentirai la consolazione di Dio, che ti sostiene”».

Prima della celebrazione eucaristica, Francesco benedice i pochi rami d’ulivo e di palma allestiti nella Basilica deserta. Poi, con una palma intrecciata, si avvia nel brevissimo tragitto verso l’altare dove al centro c’è il Crocifisso di San Marcello al Corso, dove il Papa era andato a pregare a piedi il 15 marzo scorso e che ha voluto in piazza San Pietro due settimane fa nella liturgia per invocare la fine di questo flagello.

«Gesù ha provato l'abbandono più grande e totale»

  

Il Vangelo di oggi è il racconto della Passione secondo Matteo che viene proclamata da tre lettori. Nell’omelia, Francesco si sofferma sui due stadi che deve affrontare Gesù prima della morte in croce: il tradimento e l’abbandono. «Sulla croce, nel Vangelo odierno, Gesù dice una frase, una sola: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”», spiega Francesco, «È una frase forte. Gesù aveva sofferto l’abbandono dei suoi, che erano fuggiti. Ma gli rimaneva il Padre. Ora, nell’abisso della solitudine, per la prima volta lo chiama col nome generico di “Dio”. E gli grida a gran voce il “perché?” più lacerante: “Perché anche Tu mi hai abbandonato?”. Sono in realtà le parole di un Salmo: ci dicono che Gesù ha portato in preghiera anche la desolazione estrema. Ma resta il fatto che l’ha provata: ha provato l’abbandono più grande, che i Vangeli testimoniano riportando le sue parole originali: Elì, Elì, lemà sabactàni?».

Perché tutto questo?, chiede il Pontefice. «Ancora una volta per noi, per servirci. Perché quando ci sentiamo con le spalle al muro, quando ci troviamo in un vicolo cieco, senza luce e via di uscita, quando sembra che perfino Dio non risponda, ci ricordiamo di non essere soli. Gesù ha provato l’abbandono totale, la situazione a Lui più estranea, per essere in tutto solidale con noi. L’ha fatto per me, per te, per dirti: “Non temere, non sei solo. Ho provato tutta la tua desolazione per essere sempre al tuo fianco”. Ecco fin dove ci ha serviti Gesù, calandosi nell’abisso delle nostre sofferenze più atroci, fino al tradimento e all’abbandono».

Come ci ha salvati Gesù?, chiede il Papa. «Servendoci», è la risposta. Bergoglio parte da una frase di San Paolo ai Filippesi («Svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo») per spiegarlo e per invitare a introdurci «nei giorni santi, dove la Parola di Dio, come un ritornello, mostra Gesù come servo», spiega Francesco: «Giovedì santo è il servo che lava i piedi ai discepoli; Venerdì santo è presentato come il servo sofferente e vittorioso; e già domani Isaia profetizza di Lui: “Ecco il mio servo che io sostengo”. Dio ci ha salvato servendoci. In genere pensiamo di essere noi a servire Dio. No, è Lui che ci ha serviti gratuitamente, perché ci ha amati per primo. È difficile amare senza essere amati. Ed è ancora più difficile servire se non ci lasciamo servire da Dio».

Ma in che modo ci ha servito il Signore?, chiede ancora il Papa. «Dando la sua vita per noi. Gli siamo cari e gli siamo costati cari. Santa Angela da Foligno testimoniò di aver sentito da Gesù queste parole: “Non ti ho amata per scherzo”. Il suo amore lo ha portato a sacrificarsi per noi, a prendere su di sé tutto il nostro male. È una cosa che lascia a bocca aperta: Dio ci ha salvati lasciando che il nostro male si accanisse su di Lui. Senza reagire, solo con l’umiltà, la pazienza e l’obbedienza del servo, esclusivamente con la forza dell’amore. E il Padre», continua, «ha sostenuto il servizio di Gesù: non ha sbaragliato il male che si abbatteva su di Lui, ma ha sorretto la sua sofferenza, perché il nostro male fosse vinto solo con il bene, perché fosse attraversato fino in fondo dall’amore. Fino in fondo. Il Signore ci ha serviti fino a provare le situazioni più dolorose per chi ama: il tradimento e l’abbandono».

«Questo dramma ci spinge a prendere sul serio quel che è serio»

  

Il Papa ricorda che Gesù ha subito tanti tradimenti: quello «del discepolo che l’ha venduto e del discepolo che l’ha rinnegato». Quello «della gente che lo osannava e poi ha gridato: “Sia crocifisso!”». Quello «dell’istituzione religiosa che l’ha condannato ingiustamente e dall’istituzione politica che si è lavata le mani. Pensiamo ai piccoli o grandi tradimenti che abbiamo subito nella vita. È terribile quando si scopre che la fiducia ben riposta viene ingannata. Nasce in fondo al cuore una delusione tale, per cui la vita sembra non avere più senso. Questo succede perché siamo nati per essere amati e per amare, e la cosa più dolorosa è venire traditi da chi ha promesso di esserci leale e vicino. Non possiamo nemmeno immaginare come sia stato doloroso per Dio, che è amore».

«Guardiamoci dentro», è l’invito del Pontefice: «Se siamo sinceri con noi stessi, vedremo le nostre infedeltà. Quante falsità, ipocrisie e doppiezze! Quante buone intenzioni tradite! Quante promesse non mantenute! Quanti propositi lasciati svanire! Il Signore conosce il nostro cuore meglio di noi, sa quanto siamo deboli e incostanti, quante volte cadiamo, quanta fatica facciamo a rialzarci e quant’è difficile guarire certe ferite. E che cosa ha fatto per venirci incontro, per servirci? Quello che aveva detto per mezzo del profeta: “Io li guarirò dalla loro infedeltà, li amerò profondamente”. Ci ha guariti prendendo su di sé le nostre infedeltà, togliendoci i nostri tradimenti. Così che noi, anziché scoraggiarci per la paura di non farcela, possiamo alzare lo sguardo verso il Crocifisso, ricevere il suo abbraccio e dire: “Ecco, la mia infedeltà è lì, l’hai presa Tu, Gesù. Mi apri le braccia, mi servi col tuo amore, continui a sostenermi... Allora vado avanti!”».

Il Papa si sofferma anche sull’abbandono subìto da Gesù e chiede: «Che cosa possiamo fare dinanzi a Dio che ci ha serviti fino a provare il tradimento e l’abbandono? Possiamo non tradire quello per cui siamo stati creati, non abbandonare ciò che conta. Siamo al mondo per amare Lui e gli altri. Il resto passa, questo rimane. Il dramma che stiamo attraversando ci spinge a prendere sul serio quel che è serio, a non perderci in cose di poco conto; a riscoprire che la vita non serve se non si serve. Perché la vita si misura sull’amore».

Francesco invita tutti in «questi giorni santi, a casa» a stare «davanti al Crocifisso, misura dell’amore di Dio per noi. Davanti a Dio che ci serve fino a dare la vita, chiediamo la grazia di vivere per servire. Cerchiamo di contattare chi soffre, chi è solo e bisognoso. Non pensiamo solo a quello che ci manca, ma al bene che possiamo fare». Ricorda che «il Padre, che ha sostenuto Gesù nella Passione, incoraggia anche noi nel servizio. Certo, amare, pregare, perdonare, prendersi cura degli altri, in famiglia come nella società, può costare. Può sembrare una via crucis. Ma la via del servizio è la via vincente, che ci ha salvati e che ci salva la vita».

Un invito, questo, che Bergoglio rivolge «specialmente ai giovani, in questa Giornata che da 35 anni è dedicata a loro», dice Francesco: «Cari amici, guardate ai veri eroi, che in questi giorni vengono alla luce: non sono quelli che hanno fama, soldi e successo, ma quelli che danno sé stessi per servire gli altri. Sentitevi chiamati a mettere in gioco la vita. Non abbiate paura di spenderla per Dio e per gli altri, ci guadagnerete! Perché la vita è un dono che si riceve donandosi. E perché la gioia più grande è dire sì all’amore, senza se e senza ma. Come Gesù per noi».

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