Non c'è una sola ragione per chiedere l'abolizione del reato di clandestinità, ma tante: la sua insostenibilità etica (l'idea che un uomo o una donna - e perché no, un bambino - possa essere illegale in sé, e non per le sue azioni, va contro la morale laica e quella religiosa, ma anche contro il diritto); la sua inutilità (non è servito allo scopo dichiarato, non ha reso l'Italia un Paese più sicuro né ha fermato gli sbarchi o gli ingressi irregolari); la sua ambiguità (è servita solo a rinsaldare il consenso elettorale leghista); i suoi effetti collaterali (aumento della spesa pubblica, sofferenze e maggiore ricattabilità per le persone direttamente coinvolte, complicazioni per tutte le altre...). L'elenco potrebbe allungarsi e arricchirsi di considerazioni sui Cie, sul caporalato, sulla tratta...
In condizioni normali, tutte queste ragioni - obiettive, misurabili,
concrete - avrebero dovuto produrre una convergenza trasversale delle
forze politiche sulla richiesta di abolizione. E i promotori dei vari
pacchetti sicurezza e della "cattiveria trasformata in legge" avrebbero
dovuto scusarsi per il danno prodotto, facendosi da parte.
Ma
le condizioni, lo sappiamo, non sono normali. A un ministro che dice
che questo abominio deve essere eliminato viene tappata la bocca. Il
Papa è applaudito a Lampedusa ma anche invitato a farsi i fatti suoi.
Chi, tra i parlamentari, pone la necessità di una nuova legge
sull'immigrazione, viene ignorato. Intanto, nell'indifferenza generale,
vengono rinnovati gli accordi bilaterali con La Libia.
Allora tocca ad altri soggetti, i giornali per esempio, prendere
l'iniziativa e portare avanti le battaglie politiche. E' un'anomalia,
non ci piace, ma non possiamo che prenderne atto. Agire di conseguenza
non è un segno di gradimento ma di realismo. Teniamo i piedi per terra, i
cuori in alto e aderiamo anche noi di Corriere Immigrazione (www.corriereimmigrazione.it) alla
campagna promossa da Famiglia.