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lunedì 23 giugno 2025
 
CORRUZIONE
 

Cercasi Stato di diritto

12/05/2014  Il caso Expo e quello Scajola: solo “mele marce” o sta per arrivare una nuova Tangentopoli?

Ridotta alla sua essenza e ripulita dalle differenze dei casi, la nuova tornata di scandali di cui ci diletta la cronaca – Expo e Scajolagate – riporta alla luce alcune malattie endemiche dell’italianità. Tra le altre: l’uso di beni pubblici a finalità tutte private (auto e scorte), la sonnolenza della vigilanza in tema di appalti pubblici  (magistrati a parte), la refrattarietà al cambiamento di un ceto politico incapace di apprendere dai propri errori. E’ un film che ritorna, perché sono caratteri e vizi che già riempivano i giornali vent’anni fa, epoca Tangentopoli. Tanto da suggerire che si tratti di male endemico, irreparabilmente nazionale, ostinato e resistente ad ogni rimedio.

Rifugiarsi nella genetica, tuttavia,  non allevia lo sconforto, anzi lo alimenta, perché induce a fatalismo. La corruzione italiana, già fustigata qualche mese fa da un Report della Commissione europea, non è un male incurabile né a quanto pare quantificabile, ma di certo è storico. E’ il portato di leggi fiaccate nel tempo perché rese ad personam (ex Cirielli, lodo Alfano, legittimo impedimento), prolassate (falso in bilancio) o assolutorie  (condono tombale). E’ l’effetto di  comportamenti che si pretende privati ma diventano costume collettivo e - si tratti di donne, tasse da pagare, giudici da attaccare -  abbassano l’asticella del permesso e alzano quella dell’arbitrio.

Non c’è una ricetta pronto uso per rimediare a tutto questo. Certo, servono cose concrete come rafforzare l’Autorità presieduta da Raffaele Cantone, reintrodurre il falso in bilancio,  rendere più severe le pene in tema di Pubblica amministrazione. Ma occorre soprattutto uscire da un clima di generalizzata impunità invalsa nelle chiacchiere da bar come in Parlamento ogni volta che si approccia ai temi di morale pubblica e legalità. Quasi un darsi di gomito, sapendo che tanto è la legge del più furbo a far girare il mondo o almeno l’Italia.

Non si può chiedere a un ex ministro che pagava le operazioni a sostegno di un latitante da un conto della Camera di risarcirci per la fiducia scippata, ma si può fare in modo che non faccia più parte dell’arredo pubblico, una volta e per sempre. E non si può pretendere da un ex senatore che onori una sentenza definitiva (per mafia), ma che almeno non ci prenda per scemi facendo del Libano l’unico Paese  al mondo in cui ci si possa curare decentemente di cuore.

Insomma non c’è altra strada che riconoscere il nostro come uno Stato di diritto. Avrà molti difetti, e sarà un po’ scassato a furia di smontarlo pezzo a pezzo, ma ci siamo affezionati. Se non altro perché  - in assenza di conti correnti cifrati,  di attici comprati a nostra insaputa e di cliniche estere compiacenti -  non abbiamo altro a cui affidarci.

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