La giornata nazionale contro la corruzione in sanità, fissata al 6 aprile, casca quanto mai “a fagiuolo”, come si diceva una volta: la cronaca s’incarica di ricordarci da Napoli a Milano che la corruzione non solo in ambito sanitario è tema attualissimo ogni giorno.
Nelle ordinanze dei Gip delle due inchieste dei giorni scorsi, tanto per citare le ultime, una sugli appalti della sanità a Napoli per fatti di tre anni fa, l’altra sugli appalti dell’edilizia scolastica a Milano per fatti risalenti al 2013, che hanno portato a all’esecuzione misure di cautelari a carico di due dirigenti e un funzionario del Comune di Milano e di una decina di pesone per le commesse della sanità partenopea, ricorre, riguardo ai comportamenti corruttivi, un aggettivo emblematico: “sistemico”.
Significa che la ricostruzione degli inquirenti porta a disegnare un quadro di prassi consolidata, che va oltre i casi isolati: non a caso si parla di percentuali fisse negli appalti.
“Sistema” era stata la parola chiave di Tangentopoli di cui ricorrono i 25 anni. E curiosamente, ma forse non tanto, stiamo ancora parlando (a Napoli) di pulizie negli ospedali, proprio come al tempo di Mani Pulite innescata dall’arresto in flagranza del Presidente del Pio Albergo Trivulzio che intascava una tangente da circa tremila euro per l’appalto delle pulizie della casa di riposo: un ramo periferico che portò a scoprire un sistema centralizzato.
Altre analogie ricorrono: nell'inchiesta milanese, troncone di un'altra che nel 2015 aveva già portato arresti per associazione a delinquere per fatti che risalgono a periodi precedenti la Giunta Sala, è ricomparsa una vecchia conoscenza: le bustarelle di denaro contante, che spesso in anni recenti avevamo visto tramutarsi in scambi di favori magari equivalenti ma meno appariscenti.
Segno che, rispetto a 25 anni fa, le cose sono cambiate in termini di struttura organizzativa – è tutto più parcellizzato e più anarchico, tanti centri anziché uno solo – ma la sostanza rimane.
Il problema si fa ancora più complesso quando pubblico e privato si mescolano nella galassia delle società controllate e partecipate, dove è difficile distinguere pubblico e privato, come spiegava, il 2 marzo scorso a Roma nell'ambito del convegno "Criminalità organizzata tra storia, economia e sociologia", Francesco Greco, procuratore della Repubblica di Milano, tra i più esperti in tema di reati economici.
«Il rapporto corruttivo» esemplificava Greco, «s’è trasformato in un rapporto di interconnessione di lobby in cui sfumano i rapporti tra pubblico e privato (per cui vigono norme diverse ndr). Ci sarebbe bisogno della parificazione giuridica tra pubblico e privato, perché le indagini si scontrano con soggetti economici difficili da qualificare giuridicamente: quando mi imbatto in casi che riguardano imprese nate come enti pubblici e poi privatizzate, (ma di cui lo Stato resta azionista principale ndr), non è mai chiaro se l’amministratore di turno, nominato dal Governo, sia un pubblico ufficiale o un amministratore delegato di una società per azioni quotata in borsa. Queste figure ibride rappresentano un problema giuridico enorme nel contrasto, perché il pubblico sfuma nel privato ogni volta che lo Stato esternalizza servizi: ma la corruzione tra privati ha norme che non bastano a contrastare il fenomeno, per esempio, nelle migliaia di municipalizzate che deviano risorse dalle Regioni ai Comuni».
A questo proposito il 14 aprile andrà in vigore il decreto che ha riformato la corruzione tra privati, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 30 marzo scorso, che ha esteso il contrasto, restando però lontano all’equiparazione dei profili pubblico/privato auspicato dagli addetti ai lavori: se da un lato infatti le nuove norme estendono il contrasto anche all'istigazione e ampliano la categoria dei soggetti punibili, ricomprendendo oltre all’estraneo che dà o promette denaro o utilità anche i direttori generali, gli amministratori, i dirigenti preposti interni ell’ente privato, dall’altro le pene per la corruzione tra privati restano anche nel decreto inferiori ai tre anni e come tali escludono il ricorso alle intercettazioni come strumento investigativo e si continua procedere non d’ufficio ma a querela della persona offesa, benché come strumento di emersione della corruzione la querela sia storicamente del tutto marginale, data la convenienza reciproca al silenzio degli interessati al patto corruttivo.