C'è ansia per la ripertura delle scuole dopo le vacanze natalizie per il timore che possano diventare serbatoio di contagi. Una preoccupazione non immotivata vista la curva cresente dell'epidemia, la bassa percentuale di bambini 5-12 anni che si è sottoposta al vaccino e l'imminente scadenza della seconda dose per i 12-19 anni. Ma, dopo due anni di pandemia. è necessario difendere strenuemanete la didattica in presenza (diritto all'istruzione) salvaguardando il diritto alla salute. Come? lo chiediamo a Giovanni Corsello, Professore Ordinario di Pediatria Università Palermo e membro del Consiglio Direttivo della Società italiana di Pediatria.
«Diritto all’istruzione e diritto alla salute vanno coniugati insieme, non possono essere né alternativi né in conflitto. I bambini vanno tutelati nella salute e nello sviluppo della loro personalità. Ecco perché bisogna garantire la presenza a scuola anche in tempi difficili investendo nella sicurezza, cercando di garantire al massimo e al meglio gli standard necessari per minimizzare o abolire rischi di contagio e di malattie infettive».
Partiamo dalla vaccinazione ai più piccoli, una scelta che spaventa molti genitori
«La vaccinazione è una strategia importante di protezione della salute dei bambini e dei ragazzi, che rischiano comunque anche se con minore probabilità rispetto agli anziani e agli adulti forme gravi e complicanze come il long-COVID o la sindrome infiammatoria mulitisistemica (nota con l’acronimo MIS-C). Una alleanza strategica tra famiglie, scuola e sanità pubblica è necessaria per estendere al massimo e in tempi brevi la platea dei bambini vaccinati contro il coronavirus responsabile del COVID-19. Il vaccino è efficace e sicuro, non ha di fatto controindicazioni, è l’unico modo per proteggere anche i più fragili, non ha effetti avversi che possano essere motivo di preoccupazione per le famiglie».
Cosa è stato fatto sin qui per tenere la scuola aperta nonostante la pandemia?
«Si è cercato di investire risorse per affrontare problemi e carenze organizzative e strutturali che per molti decenni erano stati tralasciati. Sul piano dell’edilizia e del personale non si era investito negli anni precedenti alla pandemia e questo ha acuito i problemi e le difficoltà. È cresciuto il numero dei docenti, sono stati acquisiti nuovi banchi e nuova strumentazione, si è curato di più l’igiene degli ambienti e la disinfezione delle mani, ma tutto ciò non basta. Pur tuttavia, alcuni dati e studi, effettuati anche dalla Società Italiana di Pediatria e da altre istituzioni internazionali nel corso di questi due anni, hanno dimostrato che non è durante le ore scolastiche e all’interno dei plessi scolastici che aumenta il rischio di contagio e infezione, ma soprattutto nelle fasi pre e post-scolastiche e durante gli assembramenti in ambienti ludici e ricreativi».
Giovanni Corsello, 63 anni
Cosa si può ancora fare ancora?
«Bisogna intervenire sul numero di alunni/studenti per classe, eliminando classi sovraffollate in tutte le fasce d’età (soprattutto per i più piccoli) e aumentando in modo proporzionato il numero dei docenti. È necessario investire di più nell'edilizia scolastica trasformando gli ambienti della scuola pubblica in luoghi sicuri, spaziosi, adeguati anche sul piano della tecnologia (come quelle necessarie, ad esempio, per il ricambio dell’aria nelle aule e negli ambienti comuni). Vanno programmati meglio gli orari di ingresso e di uscita, di ricreazione e dedicate alle attività motorie, tenendo conto della necessità di ridurre le occasioni di sovraffollamento, potenziare i trasporti in modo oculato per le esigenze scolastiche. Nelle scuole bisogna anche occuparsi di screening e di educazione alla salute, promuovere stili di vita salubri (alimentazione, attività motoria), promuovere ed anche eseguire le vaccinazioni. In questa fase pandemica è necessario anche distribuire e fare indossare in modo più corretto, stabile e prolungato possibile le mascherine facciali (oggi le FFP2 in rapporto alla diffusione della variante omicron che ha indici di contagiosità particolarmente elevati)».
Perché è così importante la didattica in presenza per i nostri allievi?
«La scuola per bambini e ragazzi non è solo un luogo in cui apprendere contenuti formativi. La scuola è un ambiente “globale”, in cui si cresce e si sviluppa la propria personalità. Le esperienze relazionali tra compagni, il confronto di idee, emozioni e sentimenti tra coetanei e tra loro e i docenti, le attività motorie e sportive sono cruciali per la costruzione della persona. La mancanza di questa dimensione nell’età evolutiva può determinare carenze non sempre del tutto colmabili. Viviamo una realtà frammentata da circa due anni e se si proseguissero esperienze di isolamento quali la didattica a distanza a lungo per i nostri bambini e ragazzi non sappiamo quali conseguenze potrebbero insorgere a breve e lungo termine. Isolamento, depressione, disturbi del comportamento alimentare, dipendenza da internet, insonnia, sovrappeso ed obesità sono tutte condizioni segnalate con maggiore frequenza tra bambini e adolescenti in questi anni. Sono rischi per la salute che vanno considerati e non sottovalutati. Inoltre, esiste un tema di grande valenza etica che riguarda le disuguaglianze: la didattica a distanza penalizza soprattutto che chi è già svantaggiato sul piano sociale ed economico, per una mancanza di mezzi e di ambienti dedicati. I mezzi informatici sono preziosi e vanno usati in modo integrato con quelli tradizionali da interazione diretta, promuovendone un uso diffuso e omogeneo nelle classi. Il divario tra chi ha e può e chi non ha e non può aumenta in corso di DAD, rischiando di favorire povertà educativa e abbandoni scolastici e problemi sociali anche a distanza. Dopo la pandemia molte cose nelle scuole dovranno probabilmente essere riviste sul piano organizzativo e metodologico, tenendo conto anche di nuove opportunità tecnologiche e di gestione».
In sintesi, quindi…
«Oggi bisogna attrezzarsi per aumentare i livelli di sicurezza negli ambienti scolastici e consentire le attività in presenza minimizzando i rischi di contagio. Per fare tutto ciò servono cultura e investimenti, consapevolezza e programmazione degli interventi, non per il futuro ma già da ora e in tutto il territorio nazionale. Utilizziamo anche in questa direzione i fondi in arrivo con il PNRR».